16 settembre 2007

La spirale della violenza nella coppia (studio svizzero)



fonte: http://www.against-violence.ch/i2/dokumente/factsheet7_gewaltspirale.pdf
Ufficio federale svizzero per l'ugiaglianza tra uomo e donna

La spirale della violenza nella coppia

Per sostenere in maniera efficace le vittime di violenze occorre conoscere la particolare dinamica della violenza nella coppia e le sue ripercussioni sulle persone coinvolte.
Cognizioni basilari in merito ci sono fornite da ricerche ed esperienze pratiche che si riferiscono alla situazione delle donne maltrattate dai loro partner. Vi è da supporre che siano parzialmente trasferibili ad altre costellazioni relazionali (violenza della donna contro il partner, violenza nella coppia omosessuale).

1. Caratteristiche della violenza nella coppia
Occorre distinguere due tipi di violenza (Decurtins 2002, Gloor / Meier 2003):
• la violenza fisica dettata da un comportamento spontaneo legato alla situazione in presenza di un conflitto;
• la violenza dettata da un comportamento violento e di controllo sistematico e ripetitivo. Le relazioni connotate da un uso frequente o addirittura regolare di violenze pesanti sono note nel dibattito specialistico come relazioni maltrattanti. In simili relazioni la violenza o la minaccia dell’impiego di violenza mirano a porre l’altra persona in una posizione debole per conservare o consolidare la propria posizione di potere. Allo scopo vien fatto ricorso a varie forme di violenza: fisica, psichica, sessualizzata o economica (confronta scheda informativa Violenza domestica). Spesso esse assumono forme sottili che, prese singolarmente, non sono ancora riconoscibili in quanto violenze. Con il perdurare della relazione, le violenze diventano di regola più frequenti e più pesanti.

2. Dinamica della violenza nella coppia – le varie fasi
Le relazioni maltrattanti sono connotate da violenza, ma questa non si manifesta in permanenza apertamente. Lavorando con donne che subiscono violenze è possibile riconoscere un «ciclo della violenza» (Walker 1983) fatto di: crescita della tensione – maltrattamento – pentimento e attenzioni amorevoli – scarico della responsabilità – crescita della tensione. Il ciclo si ripete e può solitamente essere interrotto solo tramite un intervento e un accompagnamento esterni.

Fase di crescita della tensione
Questa fase è caratterizzata dalla volontà di sminuire, mortificare, insultare. La donna cerca di prevenire le violenze fisiche, concentrando tutta la sua attenzione sull’uomo, reprimendo i propri bisogni e soffocando le proprie paure. Spera in tal modo di evitare situazioni conflittuali e maltrattamenti. Ma prima o poi si verifica comunque un’escalation della violenza perché, dopotutto, la vittima non riesce a controllare l’agire violento della controparte.

• Fase di maltrattamento
Nella fase di maltrattamento fisico le vittime reagiscono in maniera diversa: fuga, contrattacco o sopportazione. Se alla violenza non è possibile porre termine con la fuga o il contrattacco la vittima è esposta ai maltrattamenti. La persona colpita non sa quando la violenza cesserà. Queste situazioni sono spesso associate a un’angoscia mortale. La violenza subita, la perdita di qualsiasi controllo, nonché l’impressione di essere assolutamente inermi – oltre alle lesioni fisiche – producono gravi conseguenze psichiche. Molte donne finiscono in uno stato di choc che può protrarsi per vari giorni. Se in un simile momento viene chiamata la polizia, la vittima può anche apparire aggressiva, apatica o contraddittoria nelle sue testimonianze. Le vittime di violenze domestiche pesanti sviluppano spesso disturbi legati alla cosiddetta sindrome posttraumatica, i quali si manifestano attraverso sintomi fisici, psichici e psicosomatici. Tipici sono i disturbi del
sonno, i dolori cronici, l’ansia, la perdita della fiducia in sé e negli altri.

• Fase di pentimento e attenzioni amorevoli
Passata la fase acuta del maltrattamento il violento mostra spesso di pentirsi. Vorrebbe non aver fatto ciò che ha fatto e promette di cambiare il proprio comportamento. Si vergogna, si sente impotente e teme di perdere la donna. Vi sono uomini che a questo punto cercano aiuto – p. es. presso un consultorio per uomini violenti. Altri fanno appello all’amore e al senso di responsabilità della donna, assicurandole che solo lei sarà in grado di salvarlo. Ciò conferisce alla donna un senso di potere, ancorché illusorio. Nella speranza che il partner cambi davvero, in questa fase le donne spesso ritirano la richiesta di separazione o revocano la testimonianza resa p. es. nell’ambito di un procedimento penale. Alcune donne lasciano la casa delle donne per ritornare al proprio domicilio o interrompono la consulenza in corso. La donna rimuove i ricordi legati ai
maltrattamenti. Di fronte a persone esterne essa difende magari il marito e sminuisce le violenze subite. Alcune donne non si ricordano effettivamente più dell’accaduto.
Molti uomini violenti riescono a illustrare le loro promesse in modo assolutamente credibile persino a terzi. Talvolta l’ambiente influenza la donna spingendola a perdonare il partner e a dargli un’altra opportunità.

• Scarico della responsabilità
Al pentimento fa spesso seguito la ricerca della causa dell’accesso di violenza. Molti uomini hanno l’impressione che l’azione violenta sia dovuta a una forza maggiore che li ha «travolti» senza che potessero controllarla. Perciò cercano le cause non dentro di sé, bensì nelle circostanze esterne (p. es. consumo di alcol, difficoltà sul lavoro) oppure presso la partner («perché mi hai provocato?»). Localizzando la colpa nella donna l’uomo scarica la responsabilità su di lei. Molte donne colpite da violenze si assumono questa colpa e perdonano l’uomo pentito. Per evitare il senso di essere completamente inermi si accollano spesso addirittura la responsabilità del suo agire violento («L’ho provocato io»).
Con ciò si illudono di poter evitare la prossima escalation di violenza. Nella fase acuta del maltrattamento la donna è abbandonata senza difese all’uomo. Se però si ritiene corresponsabile sorge in lei l’idea di poter influenzare la situazione. Le donne si assumono così la responsabilità di un’azione che non hanno compiuto; di converso, gli uomini non devono più sentirsene responsabili. E le donne nutrono sensi di colpa per non essere riuscite a impedire il comportamento violento del partner.
Se né la donna né l’uomo cercano aiuto per affrontare i problemi di fondo rimasti irrisolti nella loro relazione o/e quelli legati alla loro propria personalità si reinnesca lentamente la fase di crescita della tensione. Un fatto qualsiasi conduce allora a un’ulteriore escalation e la spirale della violenza torna a girare. Le esperienze fatte dalle case delle donne e dai consultori per le vittime di reati dimostrano che, con il passare del tempo, i maltrattamenti tendono a diventare più frequenti e più gravi.

3. Fattori che rendono difficile uscire dalla spirale della violenza
Tutte le vittime vogliono che la violenza cessi, ma non tutte vogliono chiudere la relazione.
Le persone esterne si attendono però spesso che le vittime lascino i loro partner violenti. Se le donne ritornano ripetutamente dal partner e/o sminuiscono la violenza subita, nelle specialiste e negli specialisti ma soprattutto anche nell’ambiente privato delle vittime, ciò suscita spesso un senso d’impotenza e incomprensione. Si tende così a dubitare che la donna colpita voglia veramente cambiare la sua situazione. Molte vittime perdono allora il sostegno del loro ambiente e sono ritenute responsabili della loro situazione: ancora una volta la colpa passa dall’autore delle violenze alla vittima.

A prescindere dalle violenze, la donna fa anche esperienze positive con il suo partner: nella relazione di coppia ci sono momenti belli – e sono questi a crearle difficoltà a uscire dalla spirale della violenza. La donna, infatti, spera sempre che le violenze cessino. Il comportamento del partner è tuttavia imprevedibile.

Un ruolo importante lo hanno anche i figli. Possono rappresentare la ragione per lasciare il partner ed evitare di esporli più a lungo alla situazione violenta. Molte madri si vergognano infatti di doversi mostrare ai figli in situazioni denigranti, nelle quali risultano impotenti. I figli sono però altrettanto spesso una ragione per perseverare accanto il partner. Molte donne vogliono che essi crescano in una famiglia tradizionale, con padre e madre. Oppure temono di non riuscire a provvedere da sole ai figli. In seguito alla separazione, le migranti senza un diritto autonomo di dimora possono inoltre addirittura vedersi costrette a dover lasciare la Svizzera. La mancanza di parità fra donne e uomini nella professione e nella famiglia si rivela particolarmente deleteria soprattutto per le donne che subiscono violenze. Salari bassi nelle professioni femminili, difficoltà al momento del reinserimento professionale, la mancanza di strutture di accoglienza per i figli sono ostacoli sulla via che porta all’autonomia.

Un altro importante punto, che va preso molto sul serio, è il fatto che una separazione non comporta ancora la fine delle violenze, ma spesso ne determina addirittura l’inasprimento (confronta scheda informativa Violenza in situazioni di separazione).

4. Ciclo della violenza da una generazione all’altra?
Vari studi (BMFSFJ 2004, Killias et al. 2005, Wetzels 1995) confermano che l’esperienza personale a contatto con la violenza – violenza osservata fra i genitori, abusi subiti da bambini ecc. – sono fattori di rischio. La violenza che gli uomini e le donne hanno subito e osservato nella famiglia d’origine ha un’influenza importante sul comportamento violento adottato successivamente, nonché sulla capacità di sopportare violenze nella coppia. I maschi tendono piuttosto a far proprio un comportamento violento, mentre le femmine diventano più fragili di fronte alla mancanza di rispetto per i loro limiti. Secondo uno studio tedesco (BMFSFJ 2004), le donne che nella loro infanzia e gioventù avevano assistito alle colluttazioni fisiche fra i genitori avevano in seguito subito con una frequenza più che doppia le stesse violenze da parte dell’(ex)partner rispetto quelle risparmiate da simili esperienze.

Complessivamente, le esperienze violenti fatte da una persona rappresentano solo uno dei vari fattori di rischio. Diversi studi (BMFSFJ 2004, Killias et al. 2005) mostrano infatti che alla dinamica della violenza contribuiscono più fattori. I più importanti sono la concezione del ruolo dell’uomo e la ripartizione dei compiti nella coppia (confronta scheda informativa Violenza contro la donna nella coppia).

5. Esigenze relative alla consulenza e all’intervento
Col tempo, nei rapporti di coppia, la violenza può – ma non necessariamente deve – diventare più frequente e più intensa. L’aiuto e l’intervento tempestivi, ossia ancor prima che la violenza abbia assunto dimensioni tali da mettere a repentaglio la salute e la vita, sono utili. Per evitare di arrecare pregiudizio ai figli è opportuno identificare tempestivamente la violenza nelle famiglie e intervenire assicurando un sostegno. Le reazioni dell’ambiente sociale e istituzionale rivestono un ruolo importante per la cessazione della violenza e l’elaborazione dei danni che ne conseguono. Queste reazioni sono fortemente influenzate dall’atteggiamento assunto dalla società nei confronti della violenza, ossia dal fatto che essa la tolleri o la consideri un reato punibile.

Per la consulenza e l’intervento sono irrinunciabili conoscenze specialistiche sulla dinamica
della violenza nella coppia. In particolare è necessario considerare i seguenti punti:

• Per staccarsi da relazioni violente occorre compiere un percorso piuttosto lungo. È normale che le vittime facciano passi indietro e denotino un comportamento ambivalente.
Ciò non deve essere considerato un fallimento dell’intervento né della consulenza. In nessun caso bisogna sottrarre il sostegno alle vittime. Importante è un accompagnamento affidabile e ripetuti interventi volti a sostenere le persone colpite affinché ritrovino l’autostima e la capacità di decidere; a ciò si aggiunge anche una chiara presa di posizione contro la violenza e l’attribuzione della responsabilità all’autore delle violenze.

• La dinamica specifica della violenza nella coppia, nonché i suoi effetti psichici possono far sì che la situazione violenta rinfranchi ulteriormente il legame tra la vittima e l’autore delle violenze: egli rappresenta la minaccia e, nel contempo, è colui o addirittura l’unico dal quale dipende la sopravvivenza della vittima. Spesso è possibile uscire da un simile rapporto solo quando la vittima si stacca emotivamente dall’autore delle violenze. La separazione dal partner violento non deve perciò essere considerata come l’unica soluzione. Un obiettivo altrettanto importante è quello di ottenere una maggiore protezione e sicurezza nell’ambito di una relazione che perdura.

• Le misure a tutela delle vittime dovrebbero agire nel contempo su entrambi i versanti: quello della vittima e quello dell’autore delle violenze. In quanto interventi di crisi i colloqui con la coppia o i tentativi di mediazione non sono però idonei: il rapporto di potere esistente impedisce alla vittima di esprimersi liberamente e finisce per farle subire pressioni ancor più forti. La minaccia potrebbe così aggravarsi. Da privilegiare sono piuttosto le misure incentrate sull’autore, risp. sulla vittima. Solo in casi eccezionali può essere opportuna una consulenza di coppia: quando la violenza nella coppia è un fatto ancora relativamente recente, la donna desidera mantenere la relazione, e l’uomo assume la responsabilità del suo agire. La premessa è tuttavia che la/il consulente disponga di conoscenze specifiche in materia di violenza nella coppia.

• La separazione o persino il solo accenno a intenzioni di separazione possono aumentare il pericolo di un’escalation della violenza. In un simile contesto occorre perciò prestare sempre la massima attenzione alla questione della sicurezza.

Bibliografia:
Bundesministerium für Familie, Senioren, Frauen und Jugend (BMFSFJ) (Hrsg.) (2004), Gewalt in Paarbeziehungen, in: Lebenssituation, Sicherheit und Gesundheit von Frauen in Deutschland, Bonn.
Decurtins, Lu (2002), Die Gewaltspirale, in: Kantonsgericht St. Gallen, II. Zivilkammer (Hrsg.), Mitteilungen zum Familienrecht – Häusliche Gewalt, St. Gallen.
Egger R./Fröschl E./Lercher S./Logar R./Sieder H. (1995), Gewalt gegen Frauen in der Familie, Wien.
Gillioz, L. / De Puy, J. / Ducret, V. (1997), Domination et violence envers la femme dans le couple. Genève.
Gloor, Daniela / Meier, Hanna (2003), Les hommes victimes de violence – aspects scientifiques et sociopolitiques du débat. FamPra 3/2003, août 2003, Verlag Berne. Versione francese sul http://www.against-violence.ch/i/forschung.htm
Killias M./Simonin M./De Puy J. (2005), Violence experienced by women in Switzerland over their lifespan. Results of the International Violence against Women Survey (con una sintesi dei risultati in francese e tedesco), Losanna.
Lempert, Joachim / Oelemann, Burkhard (1995), «…dann habe ich zugeschlagen». Männer- Gewalt gegen Frauen, Hamburg.
Schweizerische Konferenz der Gleichstellungsbeauftragten (Hrsg.) (1997), Beziehung mit Schlagseite, Gewalt in Ehe und Partnerschaft, Bern.
Walker, Leonore (1983), The battered women syndrom study, in: Finkelhor, D. / Gelles, R. / Hotaling, G.: The dark side of families, Beverly Hills.
Wetzels, Peter / Pfeiffer, Christian (1995), Sexuelle Gewalt gegen Frauen im öffentlichen und privaten Raum – Ergebnisse der KFN-Opferbefragung 1992, KFN-Forschungsbericht Nr. 37, Hannover.
Wetzels, Peter (1997), Gewalterfahrungen in der Kindheit. Sexueller Missbrauch, körperliche Misshandlung und deren langfristige Konsequenzen, Baden-Baden.

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