21 marzo 2008

Anche i nonni in giudizio se la madre li ostacola



Se la madre ostacola il rapporto del figlio con i nonni paterni, questi possono intervenire "ad adiuvandum" nel giudizio di separazione del proprio figlio.

CdA Perugia 27.09.2007

Questa la vicenda alla base del pronunciamento:

una coppia ha in corso presso il Tribunale di Perugia la separazione giudiziale; all’udienza presidenziale era stato disposto l’affidamento condiviso dei due figli minori; nelle more dell’istruttoria i nonni paterni lamentano che, malgrado le provvisorie disposizioni presidenziali, essi riescono a frequentare i nipotini solo una volta alla settimana, allorché il padre li conduce a pranzo da loro. V’è un dettaglio che rende la vicenda alquanto paradossale: e cioè che l’abitazione della madre dei minori è una sorta di “dépendance” della stessa villa ove dimorano i nonni paterni.

La madre dei minori eccepiva l’inammissibilità dell’intervento in giudizio dei suoceri; il Tribunale, con sentenza parziale, accoglieva l’eccezione. I nonni ricorrevano in Appello per veder riconosciuta la loro legittimazione a stare in giudizio, insieme (“ad adiuvandum” – art. 105/2 c.p.c.) al figlio.

Nel merito del ricorso la Corte si richiama al “nuovo” art. 155 c.c. – novellato dalla legge sull’affidamento condiviso (l. 54/2006) – laddove postula il “diritto del minore di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori e di (...) conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.

Poi richiama l’esegesi seguita dal giudice di primo grado, secondo il quale il suddetto postulato andrebbe letto solo nell’ottica del diritto del minore, senza poterne inferire una speculare legittimazione processuale degli ascendenti; a rinforzo dell’interpretazione restrittiva quel giudice allegava la “confusione processuale” che sarebbe potuta derivare dall’indiscriminata ammissibilità di intervento in giudizio dei più disparati parenti del minore.

Andando in contrario avviso, la Corte si richiama alla giurisprudenza che s’era già formata prima della riforma del 2006, secondo la quale (Cass. 25-9-1998 n. 9606) “in tema di provvedimenti connessi all'affidamento dei figli in sede di separazione personale dei coniugi, la mancanza di un'espressa previsione di legge non è sufficiente a precludere, al giudice, di riconoscere e regolamentare le facoltà di incontro e frequentazione dei nonni con i minori, né a conferire a tale possibilità carattere solo "residuale", presupponente il ricorso di gravissimi motivi. Infatti non possono ritenersi privi di tutela vincoli che affondano le loro radici nella tradizione familiare, la quale trova il suo riconoscimento anche nella Costituzione (art. 29 Cost.) (...) è da ritenere (...) non già che il diritto di visita possa essere riconosciuto eccezionalmente solo in presenza di gravissimi motivi che pregiudicano il rapporto con il genitore, ma viceversa che debba essere negato unicamente quando il rapporto dei nonni con il nipote appare pregiudizievole per il medesimo”.

Poi la Corte passa a svolgere un’analisi intorno alla nozione di “interesse processuale” del terzo in giudizio, distinguendolo dall’”interesse ad agire”, proprio di chi faccia valere un suo diritto sostanziale: per tal via essa riconosce che l’interesse degli ascendenti è condizionato di riflesso dalla vittoria o soccombenza dell’attore (nella specie: il proprio figlio).

Sul piano più sostanziale, la Corte si richiama a pregressi arresti giurisprudenziali che avevano delineato l’”interesse esistenziale” che la persona realizza nelle relazioni famigliari siccome rientranti nella sua “sfera di realizzazione”, costituzionalmente protetta.

Ne consegue l’ammissibilità dell’intervento dei nonni nel giudizio di separazione del figlio, in funzione delle modalità di affidamento dei nipoti.

Ecco il testo della sentenza:

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI PERUGIA
S E Z I O N E C I V I L E
Composta dai Magistrati:
dott. Sergio Matteini Chiari Presidente
dott. Sandro Cossu Consigliere est.
dott. Salvatore Ligori Consigliere
Ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
Nella causa civile iscritta al n. 145 anno 2007 Ruolo Gen. Contenzioso Civile,

DA

XXXXXXXXX E YYYYYYYYY elettivamente domiciliati in Perugia, Via
Fani n. 14 presso l’ Avv. Rosa Conti, che li rappresenta e difende in giudizio
giusta delega a margine del ricorso per intervento in primo grado
APPELLANTI

CONTRO

ZZZZZZZZZZ elettivamente domiciliata in Perugia, Via Bontempi n. 1 presso
l’Avv. Anna Rosa Sindico, che la rappresenta e difende giusta delega in calce alla
copia notificata dell’atto di appello
APPELLATA

E
p style="margin-bottom: 0cm;" align="justify">WWWWWWWWWW, elettivamente domiciliato in Perugia, via XX Settembre
n. 57 c/o avv. Vincenzo Rossi
APPELLATO CONTUMACE
e con l’intervento del Pubblico Ministero, in persona del dr. Pietro Maria
Catalani, Sostituto Procuratore Generale
OGGETTO: legittimazione ad agire – separazione dei coniugi
CONCLUSIONI DEI PROCURATORI DELLE PARTI
Per gli appellanti come all'atto di appello: “Piaccia all’Ecc.ma Corte d’Appello,
disattesa ogni contraria istanza, dichiarare l’ammissibilità dell’intervento ad
adiuvandum degli appellanti nel procedimento di separazione iscritto al n.
2299/06 R. G. C. del Tribunale di Perugia. Con vittoria di spese, funzioni ed
onorario o eventuale compensazione delle stesse.”
Per l’appellata come alla comparsa di costituzione e risposta: “Voglia la Corte
d’Appello di Perugia respingere l’appello proposto da XXXXXXXXX E
YYYYYYY, con conseguente conferma della sentenza impugnata. Con vittoria
di spese ed onorari di entrambi i gradi del giudizio.”
Per il Pubblico Ministero: “Chiede l’accoglimento del ricorso”
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel corso del giudizio di separazione giudiziale tra i coniugi
ZZZZZZZZZ E WWWWWWWW con una peculiare istanza proposta ai sensi
dell’art. 155, 1° comma, c.c., gli odierni appellanti XXXXXXXX E
YYYYYYYYYY genitori del ricorrente, intervenivano in causa, lamentando che
i figli minori delle parti, M. e F. , nonostante il provvedimento di affidamento
condiviso adottato in sede presidenziale, erano stati di fatto dalla madre impediti
di mantenere con i cuginetti e con i nonni i rapporti che invece prima erano
frequenti, financo di giocare nella piscina della villa di questi.
Gli intervenuti specificavano che, mentre prima della separazione, a causa degli
impegni lavorativi di entrambi i genitori, i minori trascorrevano con gli esponenti
medesimi i pomeriggi e, durante le vacanze estive, l’intera giornata, la situazione
era poi interamente cambiata, tanto che essi vedevano i nipoti solo una volta alla
settimana, quando il padre li portava a pranzo e ciò nonostante la casa coniugale,
concessa dai suoceri alla famiglia, fosse collocata nella stessa struttura della villa
della famiglia XXXXXXX.
A seguito dell’eccezione di inammissibilità dell’intervento sollevato dalla
resistente Bertinelli, il Tribunale emetteva sentenza (8-15/3/2007) parziale nel
procedimento di separazione, escludendo la legittimazione degli ascendenti e
dichiarando quindi inammissibile l’intervento stesso
Avverso detta pronuncia, notificata il 30-3-2007, hanno proposto appello gli
intervenuti con ricorso depositato tempestivamente il 26-4-2007 chiedendo alla
Corte di riformarla e di riconoscere la loro legittimazione.
Sull’adesione al ricorso da parte del P.M., si è costituita ZZZZZZZZZZ
postulando la reiezione del gravame.
La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza in camera di
consiglio del 27-9-2007, sulle conclusioni rassegnate come in epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente occorre dichiarare la contumacia di
WWWWWWWWWW nei cui confronti il contraddittorio ed il rapporto
processuale si sono ritualmente integrati.
Va altresì premessa l’ammissibilità dell’appello, nonostante la mancanza
di ogni richiesta di merito, poiché oggetto dell’impugnazione è la mera
affermazione di inammissibilità dell’intervento e la relativa pronuncia ha natura
di sentenza non definitiva nel giudizio di separazione, ma è idonea a configurarsi
come definitiva in relazione al preteso diritto degli intervenuti a partecipare al
giudizio de quo.
Venendo al merito della questione, l’intervento –sia pure sotto la
singolare forma di “ricorso e/o istanza d’urgenza ex art. 155, 1° comma, c.c.”,
ma di eventuali irregolarità formali non può oggi tenersi conto, attesa
l’accettazione del contraddittorio sul punto avvenuta nel giudizio di primo gradoè
giustificato dai coniugi XXXXXXXXX E YYYYYYYY sulla base della
ritenuta portata innovativa della nuova formulazione dell’art. 155 c.c., come
sostituito dalla L. 8-2-2006 n. 54, prevedendo detta norma il diritto del minore di
mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori e di
……”conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di
ciascun ramo genitoriale”.
Secondo gli intervenuti, nonostante contrari arresti giurisprudenziali precedenti,
che limitavano la possibilità di intervento alle ipotesi degli artt. 333 e 336 c.c.,
l’innovazione legislativa menzionata rendeva nell’attualità possibile l’intervento
degli ascendenti anche nel giudizio di separazione, ad adiuvandum la posizione
del coniuge di riferimento, ed al fine di ottenere, nell’ottica della tutela del diritto
affermato dalla novella, provvedimenti idonei alla realizzazione di esso, in
ordine all’aspetto specifico dei rapporti con gli ascendenti ed i parenti del ramo
genitoriale paterno. Ciò era stato riconosciuto da alcuni Giudici di merito ed in
particolare dal Tribunale di Firenze con sentenza 22-4-2006.
Il Tribunale di Perugia è andato, invece, di contrario avviso, reputando
che nessuna portata innovativa poteva essere riconosciuta, per il profilo in
discussione, all’art. 155 c.c. novellato, che non era idoneo ad attribuire, in modo
da giustificarne la legittimazione sostanziale, agli ascendenti un diritto al
mantenimento dei rapporti con i discendenti, ma invece operava una
configurazione “codificata” dell’estensione del diritto del minore; erano tuttavia
sempre e solo i genitori a poter far valere giudizialmente tali diritti, che il
Giudice doveva attuare, a mente del 2° comma dell’art. 155 citato, mediante
provvedimenti adottati con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale
della prole.
Il Tribunale, poi, sottolineava come l’estensione della legittimazione, che
avrebbe dovuto comportare anche quella di non ben individuati “parenti”,
avrebbe aperto la strada ad una congerie di interventi disparati, idonei ad
allargare inammissibilmente il contenzioso inerente il giudizio di separazione,
che doveva essere destinato alla soluzione degli aspetti personali ed economici
riguardanti esclusivamente i coniugi ed i figli.
Gli appellanti censurano la decisione del Tribunale –ritenendola anche
eccessivamente preoccupata da esigenze di “politica giudiziaria” connesse alla
paventata proliferazione di giudizi estranei all’oggetto della causa di
separazione- rilevando invece, come affermato dal Tribunale fiorentino, che
l’intervento ad adiuvandum, ai sensi dell’art. 105, 2° comma, c.p.c., era possibile
per far valere un interesse proprio all’attuazione di un diritto altrui, nella specie
quello del minore, a sua volta fatto valere da uno dei soggetti naturalmente a ciò
legittimati, cioè, nella fattispecie, il padre.
Il Pubblico Ministero, nel sostenere tale impostazione, aggiunge che
l’interesse che giustifica l’intervento è direttamente tutelato dall’ordinamento, né
poteva ritenersi (come aveva fatto il Tribunale) che la protezione di esso fosse
forzatamente demandata ad altri soggetti, magari in contrasto con i diritti dei
minori o di questi disinteressati per specifici aspetti. Richiama, a sostegno, le
disposizioni legislative in tema di interdizione e inabilitazione, che addirittura
prevedono come contraddittori necessari i parenti fino al quarto grado.
Questa Corte condivide certamente le preoccupazioni del Tribunale di
Perugia in ordine alla possibilità di una proliferazione –peraltro non così
scontata- delle possibilità di intervento in causa di soggetti, appartenenti ad una
non ben definita categoria parentale e motivati, sotto la copertura della tutela
dell’interesse del minore, dal fine di soddisfare, invece, proprie posizioni
personali, moltiplicando le ragioni del contendere in un ambito in cui il giudizio,
promosso esclusivamente dai genitori, deve essere invece teso a definire gli
assetti familiari dei coniugi e della prole in modo il più possibile rapido e
congruo.
Nondimeno, la prospettazione di tali presumibili inconvenienti non può fornire
una base solida da cui partire per risolvere la soluzione concreta della vicenda
giuridica, poiché, comunque, nel novero degli assetti familiari di cui si è detto,
sicuramente la posizione degli appartenenti ai rami parentali dei coniugi
separandi rappresenta un indiscutibile elemento che contribuisce in concreto,
sotto il profilo spirituale e morale, nonché materiale, alla configurazione concreta
di essi.
A questo proposito, è vero che il diritto esplicitamente riconosciuto al
minore dalla nuova formulazione dell’art. 155 c.c. non costituisce una novità in
senso sostanziale, ma solo una formulazione codicistica espressa in modo più
consono alla mutata ed accresciuta sensibilità sociale e giuridica dei tempi
attuali, con un rafforzamento esplicito del concetto, già presente, dell’esclusivo
riferimento all’interesse materiale e morale della prole nell’adozione dei
provvedimenti relativi. Ma tale affermazione non può condurre in alcun modo a
convalidare un’impostazione che a torto si fa discendere dalla precedente portata
della norma in rassegna e che, comunque, la modifica letterale della
formulazione legislativa impone di riconsiderare in termini di rafforzata tutela
tanto del diritto del minore, quanto delle posizioni giuridiche soggettive,
qualunque ne sia la latitudine, che con il primo si correlano.
Ed infatti, già da tempo la giurisprudenza più attenta ha configurato il concetto di
interesse precipuo del minore nel senso di comprendervi quello che la legge
oggi ha esplicitato; giova riportare il significativo ed illuminante arresto di Cass.
25-9-1998 n. 9606 per cogliere il senso e la portata dell’affermazione che
precede: In tema di provvedimenti connessi all'affidamento dei figli in sede di
separazione personale dei coniugi, la mancanza di un'espressa previsione di
legge non è sufficiente a precludere, al giudice, di riconoscere e regolamentare
le facoltà di incontro e frequentazione dei nonni con i minori, ne' a conferire a
tale possibilità carattere solo "residuale" presupponente il ricorso di gravissimi
motivi. Infatti non possono ritenersi privi di tutela vincoli che affondano le loro
radici nella tradizione familiare la quale trova il suo riconoscimento anche nella
Costituzione (art. 29 Cost.), laddove, invece, anche un tal tipo di provvedimenti
deve risultare sempre e solo ispirato al precipuo interesse del minore.
Nella stessa sentenza il Supremo Collegio motivava affermando che Questa
Corte del resto ha già avuto modo di evidenziare la posizione non secondaria
che i nonni assumono nell'ordinamento, nell'ambito della famiglia, desumibile
dagli obblighi di ordine patrimoniale loro imposti dagli artt. 148 e 433 nn. 2 e 3
C.C. nonché dalla qualità di legittimari riservata, oltre al coniuge ed ai figli,
anche agli ascendenti (Cass. 24.2.1981 n .1115), esempi ai quali possono
aggiungersi quelli indicati dal P.M. Ed ancora, afferma il Giudice di legittimità,
è da ritenere ….non già che il diritto di visita possa essere riconosciuto
eccezionalmente solo in presenza di gravissimi motivi che pregiudicano il
rapporto con il genitore, ma viceversa che debba essere negato unicamente
quando il rapporto dei nonni con il nipote appare pregiudizievole per il
medesimo.
Deve, dunque, ritenersi indubitabile che un interesse all’attuazione del diritto
preminente attribuito al minore risieda anche in capo a soggetti, in primis gli
ascendenti, che nell’ambito della posizione della famiglia –sia pure per aspetti in
parte differenti da quelli che caratterizzavano l’antica famiglia patriarcale- e
soprattutto nel caso di sfaldamento del nucleo familiare principale, rivestono una
posizione di rilievo. Si consideri, del resto, che l’attuazione del diritto suddetto,
ancorché in situazioni particolari, è demandata anche all’iniziativa pubblicistica,
attribuita sì al Pubblico Ministero, ma anche ad organismi collaterali di sostegno
e di intervento costituiti proprio allo scopo di protezione dell’infanzia e della
famiglia in genere, cosicché sembra inevitabile riconoscere tale possibilità, ed in
modo più incisivo, proprio ai soggetti che godono del vantaggio della prossimità
ordinaria all’oggetto della protezione.
Si consideri anche che i provvedimenti che il Giudice può adottare per regolare i
rapporti inerenti alla prole, sia a mente dell’art. 155 c.c., quanto in relazione alle
previsioni degli artt. 330 e sgg. c.c., non sono schematizzati, ma anzi il loro
contenuto può essere il più vario, in relazione alle circostanze del caso concreto.
Queste considerazioni “di sistema”, dunque, sono dirette al fine di
illustrare sinteticamente e riconoscere la posizione di “interesse”- senza che, per
ora, meriti identificarne la qualificazione giuridica- che i nonni posseggono nella
regolazione dei rapporti della famiglia separata, per quanto attiene l’attuazione
del diritto preminente riconosciuto ai minori, un aspetto rilevantissimo del quale
è, appunto, rappresentato dalla “conservazione di rapporti significativi con gli
ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”, quale ordinario strumento
di stabilità e di riferimento nella disgregazione della famiglia “centrale”.
Venendo allo specifico oggetto della controversia e trasponendo le
argomentazioni sopra svolte nel campo della legittimazione all’intervento ad
adiuvandum, giova ricordare che la facoltà concessa dall’art. 105, 2° comma,
c.p.c. di intervenire volontariamente in un processo pendente tra altre persone è
correlata alla tutela di un proprio interesse a che una delle parti vinca, ovverosia
ottenga il riconoscimento del proprio diritto in modo corrispondente all’interesse
dell’interventore, che non è l’interesse ad agire, ma quello, diversamente
atteggiato e purché non di mero fatto, ma giuridicamente protetto, determinato
dalla necessità di impedire il ripercuotersi di conseguenze dannose sulla sfera
giuridica del terzo, ancorché ciò non gli attribuisca un diritto autonomo da far
valere nel rapporto controverso (Cass. 14-3-1995 n. 2928).
In questa ottica sembra non potersi, dunque, condividere l’unico arresto noto del
Supremo Collegio (Cass. 17-1-1996 n. 364) con il quale è stata negata la
legittimazione processuale dei parenti dei coniugi ad intervenire nel giudizio di
separazione, sia pure al limitato fine di meglio tutelare l’interesse dei figli
minori, assumendosi, in sintesi che il nostro ordinamento non riconosce, a
differenza di altri, il diritto di visita dei nonni nei confronti dei nipotini, offrendo
una tutela soltanto indiretta all’interesse dei parenti ad avere rapporti con i
minori, attraverso il riconoscimento della legittimazione a sollecitare il controllo
giudiziario sulle modalità di esercizio della potestà genitoriale; lo stesso minore,
del resto, non era parte del giudizio.
Ora, ancorché non voglia ammettersi, stante l’oggetto del giudizio di separazione
personale dei coniugi, l’esistenza di un loro diritto autonomo da far valere nel
giudizio stesso, non sembra possa negarsi che l’interesse che gli ascendenti oggi
intendono far valere -e che la stessa sentenza di legittimità che qui si critica
riconosce- non corrisponde ad un interesse di mero fatto, ma deriva da un
rapporto giuridico sostanziale tra adiuvante ed adiuvato, in modo che la
posizione giuridica soggettiva del primo è pregiudicata dal disconoscimento
delle ragioni fatte valere dal secondo nei confronti della controparte, anche in via
solo indiretta e riflessa (v. Cass. 24-1-2003 n. 1111).
Non va invero sottaciuto che il diritto –per quanto concerne lo specifico aspetto
trattato- che viene fatto valere nel giudizio di separazione da ciascuno dei
coniugi in modo indifferenziato e, quindi, dal quale dipende la posizione dal
genitore dell’interveniente, è –anche- il diritto della prole minorenne alla
conservazione dei rapporti con ciascuna delle famiglie di origine dei genitori, il
cui disconoscimento o la cui inadeguata tutela (anche solo per una trascuratezza
difensiva) ha effetti negativi indiretti e riflessi – e forse non solo- anche sul
contenuto del rapporto che lega l’ascendente al proprio discendente ed alla sua
famiglia, ovvero i nipoti. Il rapporto in questione è appunto quello familiare, che
trova riconoscimento diretto e preminente nella stessa Costituzione (artt. 2 e 29),
oltre che nel complesso delle norme ordinarie che tutelano le relazioni
interparentali, nella quale a buon diritto si inserisce quella dell’art. 155 c.c. come
novellato dalla L. n. 54/2006.
Questo rapporto, costituzionalmente tutelato e favorito, non è certo assimilabile a
qualunque altro rapporto di natura patrimoniale, incidendo non su meri interessi
economici, ma su interessi di natura “esistenziale”, ovverosia di situazioni
soggettive protette dall’ordinamento e, nel caso di specie, direttamente attribuite
dalla Costituzione, la cui lesione comprime la sfera di realizzazione della persona
e non a caso esplicantisi essenzialmente proprio in ambito familiare e rilevanti
anche a fini meramente risarcitori, secondo la nota evoluzione interpretativa del
Supremo Collegio in tema di diritti della persona in quanto tale (Cass. 8827 e
8828/2003 e molte altre successive, tra cui S. U. 6572/06), avallata dalla Corte
Costituzionale n. 233/2003, che ha fatto riferimento, appunto, ad “interessi
costituzionalmente protetti”: spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza
come esistenziale, derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango
costituzionale inerenti alla persona) recita C. Cost. 233/03 citata, nel definire
l’ambito di risarcibilità del danno non patrimoniale.
L’inesistenza di un diritto proprio, che legittimerebbe l’intervento autonomo o
litisconsortile di cui al primo comma dell’art. 105 c.p.c., non giustifica, dunque,
l’esclusione dell’intervento in relazione al 2° comma della stessa disposizione,
quantomeno per la difesa dell’interesse alla integrale ed adeguata conservazione
del complesso delle facoltà comprese nel rapporto di famiglia tutelato
costituzionalmente.
E’ altresì innegabile che la conservazione dell’interesse costituzionalmente
tutelato di cui si tratta è dipendente, appunto, dalla soluzione concreta data alla
controversia, nell’ambito di ammissibilità già delineato e sembra francamente
impossibile, dopo averne riconosciuta la rilevanza a fini risarcitori (si pensi alla
risarcibilità del danno conseguente alla perdita del nipote a seguito di incidente
stradale anche per il profilo considerato), escluderne addirittura l’ontologica
sussistenza al fine di negare la legittimazione processuale ex art. 105 cpv. c.c.
Ed infatti, anche le pronunce che negano la configurabilità di un’autonoma
categoria di danno “esistenziale” in quanto tale, per ricomprenderla in quella di
danno biologico o di danno morale, affermano che il danno non patrimoniale
deve essere risarcito non solo nei casi previsti dalla legge ordinaria, ma anche
nei casi di lesione di valori della persona umana costituzionalmente protetti
(quali la salute, la famiglia, la reputazione, la libertà di pensiero) ai quali va
riconosciuta la tutela minima, che è quella risarcitoria (Cass. 9-11-2006 n.
23918; Cass. 20-4-2007 n. 9510; Cass.).
I rapporti familiari, dunque, a prescindere dai singoli aspetti, sono protetti
dall’ordinamento in quanto tali ed in essi non può non ricomprendersi quello
fatto valere nell’odierno giudizio.
Da quanto argomentato, consegue, dunque, doversi affermare la
sussistenza di un interesse “giuridicamente protetto” in capo agli ascendenti.
Né appare convincente la considerazione per cui la legittimazione ad agire nel
giudizio di separazione non sarebbe consentita in capo alla stessa prole, neppure
attraverso la nomina di un curatore speciale in caso di conflitti d’interesse.
Invero, a prescindere dall’indimostrata assolutezza di una tale affermazione, alla
luce della disposizione dell’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del
fanciullo ratificata con L. 27-5-1991 n. 176 (dalla quale si evince, ad es., che il
minore è interlocutore necessario nei procedimenti che lo coinvolgono), la scelta
legislativa di affidare interamente ai genitori la legittimazione sostitutiva
all’esercizio dei diritti del minore, nell’occasione e nell’ambito della soluzione
del conflitto inerente alla dissoluzione del nucleo familiare centrale non incide né
sull’esistenza né sulla latitudine di essi, con tutte le conseguenze che ne derivano
in relazione all’espansione nei rapporti interfamiliari della portata di tali diritti.
Quanto alla utilizzabilità degli istituti di cui all’art. 336 c.c., osserva la
Corte che essi rappresentano lo strumento per l’attuazione del diritto del minore
su altri piani non sempre coincidenti e non vicariano in alcun modo quelli, per
così dire, di partenza, cioè che devono essere utilizzati per modulare
adeguatamente i rapporti della famiglia separata fin dal momento della
separazione ed in vista esclusiva di questa, nonché per l’attuazione dello
specifico diritto alla conservazione del rapporto bigenitoriale e “biparentale” fin
ab origine, atteso che l’esigenza della prole ad un adeguata crescita spirituale e
materiale si realizza in concreto nelle ordinarie situazioni della vita quotidiana,
che vengono regolamentate proprio dalle condizioni stabilite in sede di
separazione, piuttosto che nei procedimenti “patologici” previsti dalle
disposizioni di tutela, che potrebbero definirsi di secondo livello.
Ciò è tanto vero che l’esplicitazione di tale diritto –la cui osservanza è
presupposta nell’ambito della famiglia non separata- è inserita nel sistema
proprio in relazione ai provvedimenti riguardanti i figli dei coniugi separandi e
separati
Nei limiti della tutela del diritto della prole alla conservazione dei rapporti con le
famiglie di origine dei genitori, come è nella fattispecie, l’intervento dei nonni è
dunque ammissibile, con l’ovvia esclusione della fase presidenziale, riservata
alla mera emanazione di provvedimenti cautelari e provvisori
Resta peraltro impregiudicato il contenuto concreto dei provvedimenti adottandi
da parte del Tribunale, tanto in ordine all’accertamento della necessità, sempre in
concreto, di specifiche statuizioni sul punto, quanto al contenuto di queste,
essendo la presente decisione limitata alla mera questione di ammissibilità
dell’intervento, così come restano impregiudicate le soluzioni da adottare in
ordine all’ammissibilità dell’appello, in relazione alla vincolatività specifica del
provvedimento adottato.
La novità e peculiarità della questione impongono la compensazione delle spese
di lite di entrambi i gradi del giudizio, relativamente, per il primo grado, alla fase
fin qui svoltasi.
P.Q.M.
La Corte d’Appello, definitivamente pronunciando sulla controversia di cui in
epigrafe, dichiarata la contumacia di WWWWWWWW, in accoglimento
dell’appello ed in riforma della sentenza 8-15/3/2007 del Tribunale di Perugia,
dichiara ammissibile l’intervento, nei limiti di cui in motivazione, di
XXXXXXXX E YYYYYYYYY nel giudizio di separazione intercorrente tra
ZZZZZZZZZZ E WWWWWWWWW ; compensa integralmente le spese di
entrambi i gradi del giudizio.
Così deciso in Perugia il 27 settembre 2007.

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