1 dicembre 2008

Il difficile rapporto tra divorziati e Chiesa Cattolica



Il rapporto tra Divorzio e Chiesa Cattolica non è mai stato facile. Sempre più persone credenti, però, si trovano in una condizione di fede difficile dopo la separazione perché il mancato riconoscimento da parte della Chiesa del divorzio non permette loro di vivere la fede appieno.
Pubblichiamo un'accorata lettera aperta alla Chiesa del Presidente dell'Associazione Famiglie Separate Cristiane, uscita sull'ultimo numero del Magazine de La Repubblica: D Repubblica delle donne.

DIVORZIO SENZA ASSOLUZIONE
In un mondo che non esclude nessuno, in cui se uno vuole può provare e riuscire a fare tutto, per noi non c'è posto. Siamo i lebbrosi del XXI secolo. Quelli da non toccare e da tenere a distanza.
La Chiesa non sa ancora come comportarsi con noi, perché siamo cristiani e praticanti ma separati.
Più che da una persona, da un progetto di vita. Nel nostro passato c'è un dolore che ci ha segnati
profondamente, che ha cambiato le nostre vite. Siamo un nodo non ancora risolto, bloccato da una cesura teologica che ci fa sentire diversi.
La comunità cristiana accoglie tutti, dai carcerati ai drogati. Ma a volte non noi. Che siamo esclusi, molto spesso, dalla vita quotidiana in parrocchia. Allontanati, ma non per aver spezzato il
scelto, nel tempo, una nuova unione. Rifarsi una vita, dopo una separazione è il peccato che impedisce di essere a pieno titolo dei fedeli, che nega il sacramento della confessione. Vuol dire non poter fare la comunione. Preferire le ultime file, durante la messa. Sentirsi a disagio, inopportuni, scomodi. Gli ultimi tra gli esclusi.
Quando, in realtà, siamo tutti peccatori. Ma la graduatoria dei peccati, miei e di tutti i membri dei 35 gruppi in Italia, sarebbe meglio riservarla al Signore del piano di sopra.
Qualcuno può farla certamente, questa classifica. Anche Dante ci aveva provato. Ma solo a suo titolo personale.
Per questo, come separato che non ha iniziato una nuova unione, non mi sento meno peccatore degli altri. C'è confusione, poi, sulla nostra Identità, su chi siamo davvero. Anzitutto non per forza divorziati. Divorzio è una parola che non usiamo mai perché è solo un atto amministrativoa cui pensa l'avvocato. Nelle nostre vite c'è invece un dolore più grande, la rottura di un disegno di vita andato a rotoli. Un trauma che non riguarda soltanto moglie e marito, che smettono di esserlo.
In una rottura ci sono altri soggetti implicati, che noi accogliamo nelle nostre associazioni.
I figli, che non possono sfogarsi dall'avvocato, ma devono comunque ingoiare tutto, con conseguenze tragiche. E i nonni, che si riprendono in casa chi dei due viene messo alla porta, che resta senza una lira perché gli stipendi medi non danno quasi mai un'altra chance.

Tra di noi c'è gente davvero disperata, che accogliamo noi perché la comunità cristiana troppo spesso chiude la porta in faccia a credenti che si chiedono perché da separati si resta soli quando, al matrimonio, i preti erano anche più d'uno. Ad Aosta Benedetto XVI ha detto che il nostro caso è allo studio. Sono al lavoro per uscire dall'impasse teologico che ci emargina. Intanto c'è una massa di persone con cui la chiesa non riesce a dialogare, figli che ha perso, che ha allontanato.
Qualche spiraglio sì è aperto, con una missiva del vescovo di Carpi, una decina di anni fa, e quest'anno con la lettera che il cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi ha scritto a separati e divorziati. Un testo molto accogliente che non copre, però, due aspetti. Non invita esplicitamente la Chiesa a parlare con il linguaggio di tutti, quello che chiamiamo "II vangelo del grembiule". E non esorta a gesti profetici, che sblocchino la situazione come è accaduto in passato.
Quando, per citarne uno, Paolo VI scrisse una lettera alle Brigate Rosse, ai tempi del rapimento di Aldo Moro, rivolgendosi a loro come uomini. Un segnale di questo tipo ci avvicinerebbe, in qualche modo. Oggi lo scollamento tra il pensiero teologico e la nostra vita è forte.

C'è anche molta ignoranza sul tema, nella comunità cristiana.
Certo i divorziati non riaccompagnati possono fare la comunione. La Chiesa offre il suo perdono a chi si pente. Se ti sei rifatto una vita, però, le cose cambiano, non c'è posto per te, almeno in alcuni sacramenti. Ma l'uomo moderno non vuole essere escluso da niente. E sente di poter fare qualsiasi cosa. Un viaggio, una cena. Fa qualche sforzo, anche se non può permetterseli. Nei caso dei separati con una nuova vita è diverso, invece.
La comunione non la puoi fare, in un mondo in cui ognuno vuole far parte di un gruppo. E per forza il separato si allontana, che perda la fede o meno resta solo, sicuramente. Come per gli annullati, di cui non si parla mai. Per loro si dichiara che il matrimonio non è mai esistito, legalmente. Ma ai figli resta il dramma di essere frutto di un passato cancellato. Una condizione che stride con i matrimoni concessi senza un'adeguata preparazione: se per fare il prete ci vogliono cinque anni, per un matrimonio non bastano cinque serate di un corso. In tanti si sposano in chiesa pur senza credere. Oggi ai corsi prematrimoniali, specie nel Nord, buona parte dei partecipanti già convive. E non vengono demonizzati. Ma c'è una differenza con noi, perché la Chiesa, con loro, si deve adattare, fa un passo in avanti. Anche se la teoria dice altro. il Prete si adegua alla realtà comune.
Con noi ha il timore ad aprirci un varco di dialogo. La Santa Chiesa ortodossa ha introdotto, per i separati, la possibilità di seconde nozze, che somigliano a un'unione tra vedovi. Trovo rassicurante, comunque, l'idea di rimettersi a decisioni di terzi, anche se non accettate, non capite fino in fondo. Un'interpretazione autentica, da rispettare. Non la confusione della Chiesa anglicana, con vescovi talvolta in disaccordo tra loro. Dico sempre ai separati: state nella Chiesa e dite quello che pensate, se no come farà a esprimersi in materia, a scegliere per noi senza la nostra testimonianza diretta, la nostra vita vissuta, il nostro dolore? Vero è che la nostra condizione, vista dalla Chiesa che ragiona per secoli, è un problema recente. Ma intanto in Italia dall'entrata in vigore della nuova legge sul divorzio nel 1974 si sono separate più di tre milioni di persone. Non pretendiamo che dopo nemmeno quarant'anni si risolva tutto, quando vecchi retaggi hanno impiegato secoli per essere superati. Ma, come ha fatto in passato per altre questioni, la Chiesa forse si scuserà anche con noi, se gli uomini della comunità cristiana non ci sono stati vicini quando ne avevamo più bisogno.

Ernesto Emanuele, presidente dell'Associazione Famiglie Separate Cristiane

1 commenti:

Giorgio G ha detto...

Buongiorno Carlo, ringrazio per i complimenti, che ricambio. Negli ultimi mesi ho tralasciato un po' l'aspetto promozionale del blog, ivi compresa la costruzione di contatti (di rete, come dici tu), preso in altri progetti web collaterali. L'interesse di wikipedia per questo lavoro ha riacceso in me l'entusiasmo ed eccomi ad accettare con altrettanto entusiasmo il tuo invito. A presto

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