9 febbraio 2009

Per la Cassazione anche un cattivo marito può essere un buon padre



La Cassazione ha stabilito che si può essere un buon padre anche se si è stati un cattivo marito.
Sembra una decisione di poco conto, ma rischia di essere una di quelle che lasciano il segno.

Con la sentenza numero 2993 i giudici della prima sezione civile della Suprema Corte di Palermo hanno stabilito che un marito occasionalmente violento con la moglie può comunque essere un buon genitore e ha confermato in sede di divorzio al padre l'affido esclusivo della figlia 17enne e l'affido condiviso del figlio minore di 9 anni. Durante le liti con la moglie l'uomo tendeva a rispondere alle offese verbali di lei con i ceffoni. Per i giudici di merito l'occasionale violenza alla madre, benché ripetuta, non può essere un motivo ostativo per l'affidamento condiviso del figlio.

I giudici hanno spiegato che la ragione dell’affido condiviso è da ricercare nella “necessità di superare gli ostacoli” che l’uomo incontrava nel mantenere un rapporto con il bambino, inizialmente affidato solo alla madre. In sostanza, il diritto al rapporto affettivo padre-figlio è cosa diversa dalle colpe che possono essere addebitate nei rapporti con la moglie.

La straordinarità della cosa sta nel fatto che un pessimo marito è generalmente considerato, soprattutto se violento, una persona non adatta all'affidamento dei figli, ritenuto un cattivo esempio per la prole.
Questo binomio cattivo consorte=cattivo genitore è stato spesso utilizzato nelle aule dei tribunali per allontanare uno dei due genitori (di solito il marito violento) senza prendere in considerazione i casi in cui la madre, a volte cattiva consorte o esempio negativo (per esempio nei casi in cui tradiva il marito, o ancora si drogava, beveva, era ammalata di depressione o altre patologie mentali) continuava ad avere un rapporto esclusivo con la prole.

Con questa sentenza la Cassazione, pur addebitando al coniuge violento il fallimento del matrimonio, ha stabilito che questo non deve in nessun modo limitare il rapporto padre-figli, che deve anzi essere preservato.

La sentenza è comunque destinata a suscitare polemiche. L'AMI Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani è contraria.
Sul sito de Il Messaggero leggiamo: "Il presidente dell'Associazione dei matrimonialisti italiani, Gian Ettore Gassani, ricorda che la legge sull'affidamento condiviso ha introdotto il principio della bigenitorialità e «ha eliminato ogni sorta di discriminazione tra madre e padre» ma, osserva, tale istituto «non può né deve prescindere da una attenta valutazione delle condotte dei coniugi e del loro modello educativo».

Un marito violento non è un modello genitoriale. Secondo Gassani «è indubbio che un marito violento, per altro sanzionato in sede di separazione per aver picchiato la moglie, non possa rappresentare un modello genitoriale tale da garantire l'attribuzione dell'affidamento condiviso dei figli».

I matrimonialisti sottolineano che «chiunque, uomo o donna che sia, si manifesti violento all'interno delle mura domestiche nei confronti dell'altro coniuge non può essere considerato un buon genitore atteso che ha esternato ai propri figli un modello di comportamento del tutto inaccettabile. È dimostrato scientificamente che nell'80% dei casi i coniugi violenti sono figli di genitori violenti».

L'Ami auspica che il messaggio del provvedimento giurisprudenziale «non prenda piede nel nostro sistema giudiziario al fine di non legittimare quanti hanno usato la violenza nei confronti di un familiare, a prescindere dalle ragioni che l'hanno determinata»."

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