9 maggio 2009

Affido Condiviso in Italia: un'analisi lucida e critica della situazione



Riceviamo dagli autori e volentieri pubblichiamo un'analisi lucida e critica dell'applicazione della legge 54/2006 (cosiddetto Affido Condiviso dei figli) sul territorio nazionale. Nonostante i 3 anni di rodaggio la legge stenta a trovare una piena e uniforme applicazione. Gli autori provano ad esaminarne le cause e a formulare delle possibili soluzioni.



L’AFFIDO CONDIVISO IN ITALIA
di Guido de Blasio, Michela Dini
(da: http://www.nelmerito.com)

affido_condiviso_dini.jpgLa procedura giudiziaria che, ai sensi della Legge 54 del 2006, dovrebbe stabilire l’affidamento condiviso dei minori in caso di separazione o divorzio dei genitori alimenta incentivi perversi sia per gli avvocati, che in vari casi incoraggiano una domanda per i propri servizi in eccesso rispeso all’interesse del cliente, sia per i magistrati, spinti a trincerarsi dietro le perizie tecniche. I periti, che di fatto decidono le sorti dei minori, lo fanno sulla base delle loro personali convinzioni, a volte suffragate da elementi privi di valore scientifico riconosciuto. Gli interessi economici in gioco sono ingenti.

Una legge applicata in modo frammentario e distorto.

Mentre si accumula evidenza empirica rigorosa sugli effetti positivi dell’affido condiviso (link: http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001045.html), l’applicazione della Legge 54 del 2006 nei Tribunali della Repubblica avviene in maniera frammentaria e spesso distorta. In alcuni casi, l’affido condiviso non viene disposto per motivi che la legge esclude possano rilevare (ad esempio, la conflittualità tra i genitori, l’età dei figli o la distanza tra le abitazioni)(1). In molti casi, l’affido condiviso viene formalmente disposto ma poi, in concreto, la frequentazione tra il minore e il genitore non convivente - il padre nella maggioranza dei casi - viene disciplinata in un modo del tutto analogo a quello adottato in caso di affidamento esclusivo (si pensi al diffuso modulo di frequentazione che prevede la permanenza del minore presso il padre per poche ore, uno o al massimo due pomeriggi a settimana).

Alcuni principi poco chiari, provenienti dalla precedente normativa e mantenuti in quella attuale, ne hanno amplificato le difficoltà applicative. La legge da un lato sancisce il principio della bigenitorialità (ovvero il diritto del minore ad avere rapporti equilibrati e continuativi con entrambi i genitori nonché di ricevere da loro cura, educazione e istruzione) e dall’altro ne demanda la concreta attuazione al giudice, che deve stabilire i tempi e le modalità della presenza dei minori presso ciascuno dei genitori, tenendo conto del loro "interesse morale e materiale". Il criterio dell'interesse del minore, nella maggioranza dei casi, viene però interpretato come distinto, se non contrapposto, rispetto al principio della bigenitorialità e tale, quindi, da temperarne l’applicabilità in concreto(2). Perciò, nella sua attuazione pratica, la legge è stata sostanzialmente svuotata del suo contenuto modernizzatore (in realtà, la legge innova proprio perché stabilisce che la bigenitorialità rappresenta l’interesse del minore)(3,4).

Gli incentivi degli avvocati.

La mancanza di un quadro di riferimento chiaro incentiva gli avvocati – la cui assistenza è obbligatoria nei giudizi di separazione e divorzio(5) – a stimolare una domanda per i propri servizi in eccesso rispetto all’interesse del cliente(6). In un campo nel quale le valutazioni di tipo tecnico-giuridico lasciano spesso spazio a considerazioni di tipo psicologico, ma anche a osservazioni di tipo comune su aspetti relazionali, gli avvocati sono portati a sostenere le istanze dei loro assistiti con qualsiasi mezzo (a volte anche di dubbia correttezza deontologica, come nei casi in cui viene prodotta documentazione non veritiera, sia di tipo finanziario che personale) e a favorire l’instaurarsi di conflitti su più fronti (si pensi alla frequenza con cui, nel corso del giudizio di separazione o divorzio, vengono mosse accuse aventi rilevanza penale). Ciò in quanto, da un lato, tutto ciò si traduce in ulteriori possibilità di guadagno, dall’altro, nell’incertezza circa la rilevanza dei vari elementi prodotti ai fini del giudizio, melius abundare quam deficere. Il risultato è rappresentato da copiose memorie processuali, dalla lettura delle quali il giudice fatica a distinguere gli elementi veri da quelli falsi o comunque non verificabili. I costi sono ingenti: a quelli privati sostenuti dalle parti(7), si associano quelli sociali relativi alla congestione degli uffici giudiziari.


Il ruolo dei magistrati.

I magistrati sono chiamati a pronunciarsi su questioni particolarmente delicate per gli effetti che possono produrre nella vita degli interessati. Le incertezze normative e il basso valore informativo delle memorie prodotte dagli avvocati ne complicano ulteriormente il compito. Essi, perciò, preferiscono demandare la decisione finale a psicologi e psichiatri, nella convinzione che essi posseggano gli strumenti tecnici per assumere, nel caso concreto, le migliori decisioni nell’interesse dei minori.

Il business delle perizie.

Nella maggior parte dei casi, il giudice nomina uno psicologo o psichiatra come suo consulente (CTU, consulente tecnico d’ufficio), attribuendo alle parti i relativi costi. Il CTU è chiamato a svolgere alcune indagini, di carattere psicologico, sulle parti (spesso coadiuvate da un CTP, consulente tecnico di parte) e sui minori, per poi esporre al giudice le sue conclusioni in ordine alle modalità che ritiene preferibili per la disciplina dei rapporti tra il minore e i genitori. Nella quasi totalità dei casi, il giudice recepisce integralmente i suggerimenti del CTU che dunque, di fatto, è chiamato a decidere la causa.

Il ruolo che il CTU è venuto ad assumere presenta due gravi problemi. 1. Il CTU decide sulla base dei propri orientamenti personali(8). Si tratta quindi di decisioni improntate alla più ampia discrezionalità, con la conseguenza che casi simili vengono giudicati in maniera difforme e casi molto dissimili, talvolta, in maniera eguale (in grave contrasto con l’art. 3 della Costituzione, visto che tali decisioni vengono quasi automaticamente recepite in sede giudiziaria). 2. Le conclusioni del CTU sono sostanzialmente inattaccabili, sia da un punto di vista legale (in quanto, avendo carattere tecnico, non possono essere contestate né dagli avvocati né dai magistrati; e infatti la maggior parte dei reclami promossi avverso di esse viene rigettato), sia da un punto di vista sostanziale, in quanto gli elementi portati a sostegno delle decisioni sono eminentemente non scientifici (e quindi "non falsificabili"). In molti casi, le conclusioni del CTU vengono corroborate con i risultati di test psicologici (ad esempio, il Minnesota o il Rorschach), che vengono riportati come inoppugnabili, mentre a) il loro valore scientifico è ampiamente dibattuto nella letteratura più autorevole del settore(9); b) possono facilmente essere manipolati dai consulenti di parte, i quali a volte "preparano" i loro assistiti ai test, al fine di alterarne i risultati nella maniera desiderata.

Gli interessi economici che ruotano attorno alle perizie tecniche sono enormi: una perizia viene a costare nel complesso circa 10.000 Euro(10), che le parti solitamente devono dividersi. Da quanto si apprende sulla base di opinioni raccolte presso alcuni operatori del settore, visto che sul tema vige una mancanza di trasparenza quasi assoluta, le perizie sono in mano ad un numero ristretto di CTU, ai quali il magistrato si affida con regolarità e che, pertanto, godono di una rendita monopolistica all’interno del tribunale di appartenenza. Questo genera ulteriori effetti distorsivi, di natura clientelare. Ad esempio, gli psicologi che somministrano i vari test della personalità alle parti e ai minori sono persone di fiducia del CTU, che si avvantaggiano dalle commesse che il CTU somministra. I CTP vengono scelti, su indicazione degli avvocati, sulla base della loro "vicinanza" alla CTU, affinché possano influire sui suoi orientamenti a favore della parte che li impiega.

Che fare?

Sono state recentemente presentate alcune proposte di modifica del testo della Legge 54 del 2006(11). Queste proposte prendono le mosse dalla situazione di frammentaria e distorta applicazione della legge e provano a riformularne il testo per sgombrare il campo dagli aspetti di maggiore ambiguità. Si tratta di proposte che vanno nella giusta direzione, specialmente nella parte in cui chiariscono che l’interesse del minore è rappresentato dalla bigenitorialità(12). Chiaramente, se le ambiguità normative hanno sicuramente alimentato gli incentivi perversi di avvocati, magistrati e periti, sarebbe illusorio aspettarsi, vista anche l’entità degli di interessi economici coinvolti, che la modifica del testo della legge possa essere sufficiente ad assicurarne la sua corretta attuazione. Un contributo importante, crediamo, può essere dato da una maggiore trasparenza. Sarebbe utile avere informazioni affidabili non solo sui tempi e costi delle procedure, ma anche sulle caratteristiche delle decisioni giudiziarie. Le informazioni dovrebbero riguardare anche l’attività svolta da avvocati e periti, per fare luce sull’effettivo contributo che queste figure professionali apportano affinché la risoluzione delle controversie in materia di affidamento avvenga in base a quanto stabilito dalla legge.


1) In base alle statistiche dell’anno 2006, che riflettono i primi 9 mesi di applicazione della legge, la percentuale di minori affidata esclusivamente alla madre era ancora prossima al 60%.

2) Del resto, si tratta dello stesso criterio che, nel vigore della precedente normativa, aveva portato ad elaborare la nozione di "genitore più idoneo", ossia del genitore che appariva maggiormente in grado assicurare la tutela e lo sviluppo fisico, morale e psicologico del minore e al quale dunque bisognava affidare il minore in via esclusiva (nella quasi totalità dei casi si trattava della madre), nella convinzione che ciò avrebbe ridotto, per quanto possibile, i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare.

3) Le norme di altri paesi europei sono più chiare. Il Belgio, ad esempio, ha regolato la materia stabilendo esplicitamente tempi di permanenza sostanzialmente uguali del minore presso i due genitori. In Francia, la residenza alternata è prevista come regola generale. In caso di disaccordo tra i genitori, la decisione è rimessa al giudice, che può disporre comunque in via provvisoria la residenza alternata, per poi adoperarsi per facilitare il raggiungimento di un accordo tra le parti.

4) Anche per il sostentamento economico dei figli cambia davvero poco. In base alle informazioni dell’Istat, nel 2005 il 91% delle separazioni con figli minori si concludeva prevedendo la corresponsione di un assegno per il loro mantenimento da parte del genitore non affidatario (per un importo medio di 483 €). Nonostante la Legge 54 del 2006 prevedesse un ridimensionamento del ruolo di questo trasferimento, a favore di un contributo diretto e per capitoli di spesa da parte di entrambi i genitori alle esigenze dei figli, nel 2006 esso era ancora previsto nel 90% dei casi (per un importo medio di 500€).

5) Ai sensi dell’art. 707 c.p.c. (come modificato dal D.L. 14.03.2005 n. 35, convertito nella Legge 14.05.2005 n. 80) "i coniugi debbono comparire personalmente davanti al presidente con l’assistenza del difensore".

6) Non si tratta di una pratica limitata agli avvocati di diritto di famiglia. In base ad uno studio condotto dalla Banca d’Italia (cfr. Relazione Annuale, 2007) su dati provinciali per il periodo 2000-05, che riguarda l’intero mercato dei servizi legali, vi sarebbe un nesso causale positivo tra elevato numero di avvocati (in rapporto alla popolazione) e il numero di procedimenti legali.

7) Nel mercato romano, la parcella di un professionista di media bravura va dai 5.000 ai 10.000 Euro. Considerati i costi delle perizie (vedi nota x), la spesa totale per ciascuno degli ex-coniugi oscilla tra i 10.000 e i 15.000 Euro.

8) Di fatto, molto spesso il CTU ritiene preferibile che un minore debba stare principalmente con uno dei genitori o comunque che sia necessario limitare la frequentazione dell’altro. Sulle ragioni "culturali" di questa posizione, unitamente a quelle, più rilevanti, di natura economica si veda Maglietta (2006) "L’affidamento condiviso dei figli", Franco Angeli.

9) Si veda, ad esempio, http://www.psychologicalscience.org/newsresearch/publications/journals/sa1_2.pdf, e la letteratura ivi citata.

10) Il dato fa riferimento al mercato romano. Nel dettaglio, i costi per una singola parte in causa sono i seguenti: compenso del CTU (€ 1.000); compenso del CTP (€ 3.000), compenso degli psicologi che somministrano i vari test alle parti e ai minori (€ 1.000).

11) Si vedano, ad esempio, le proposte di legge della Camera dei Deputati n. 53 e n. 1304 del 2008 e il Disegno di Legge del Senato della Repubblica n. 957 del 2008.

12) Ad esempio, una proposta recita "il minore ha diritto di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi i genitori, pariteticamente, salvo i casi di impossibilità materiale".

1 commenti:

Anonimo ha detto...

Per esperienza diretta concordo pienamente sul fatto che CTU ed avvocati sono collusi, figuratevi che La Ctu riconoscendo problemi l'esistenza di problemi alla madre mi ha comunque massacrato. Ha ordinato un monitoraggio dell'ASL ohe ha ribaltato le tesi della CTU, è stata ricusata dalla controparte. Altro monitoraggio nuova psicologa che riscontra medesima situazione ed il giudice che fa nulla si rifà nuovamente alla CTU.
Ed io volevo solo dare voce alle mie figlie 11 e 9 anni che vorrebbero fare una settimana con il papà ed una con la mamma.
CHE FARE?

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