1 dicembre 2009

La Sindrome di Alienazione Genitoriale. Articolo medico-scientifico



La Sindrome di alienazione genitoriale stenta a essere riconosciuta nei tribunali italiani. Ci occuperemo nelle prossime settimane dei primi timidi casi accertati di effettivo riconoscimento di questa patologia nelle sentenze di separazione mentre vogliamo ora a segnalare come la comunità medico-scientifica abbia di recente ufficialmente riconosciuto la PAS: pubblichiamo nello specifico un articolo della rivista scientifica "Pediatria Preventiva e Sociale", organo della Sociatà Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale SIPPS apparso sul numero 3-4 2009 a firma di Vittorio Vezzetti, già presidente dell'associazione ADIANTUM, noto pediatra lombardo.

La sindrome di alienazione genitoriale -  PAS: una nuova malattia chiede di affacciarsi nei tribunali?

La PAS è una sindrome cioè una associazione di segni e sintomi, di cui si è avuta da sempre l’impalpabile percezione –specie, ma non solonelle cause di affidamento– ma che è stata identificata compiutamente e concretamente solo nel 1985 da Richard Gardner (1), grandissimo e compianto neuropsichiatra infantile e psicanalista statunitense.
In Italia è stata introdotta dal prof. Gulotta (2), ordinario di psicologia forense dell’Università di Torino; poco importa che, attualmente, essa non sia ancora inserita nel DSM IV: nella maggior parte dei paesi europei essa è accettata e considerata una situazione gravemente pregiudizievole al pari dello stalking.
In Florida è considerata una malattia indipendentemente dal fatto che essa non sia inclusa nel DSM IV. Talora essa può far parte della sindrome di Turkat, o Mother malicious syndrome: una specie di stalking, di atteggiamento persecutorio in cui la volontà di nuocere all’ex partner include tra le sue modalità anche la manipolazione dei figli con gravi ripercussioni (3). La caratteristica principale di questa importantissima sindrome, la PAS, che ci consente di spiegare fenomeni altrimenti non comprensibili, è la campagna di indottrinamento da parte di un genitore – per Gardner la madre in circa il 90% dei casi – associata al contributo personale e attivo da parte del figlio. Il tutto in assenza di motivi obiettivi che spieghino questa animosità da parte del bimbo. Gardner per questa osservazione scientifica fu anche accusato di essere sessista ma, ribatteva lo studioso, dire che sono più comunemente le madri ad alienare i figli, equivale a dire che ad aver comportamenti pedofili sono più facilmente gli uomini o che il tumore al seno è malattia più frequentemente femminile: si tratta di semplici osservazioni scientifiche prive di intenti discriminatori.

I soggetti più facilmente condizionabili e plasmabili sono i figli unici o comunque privi di altre figure importanti, con scarsa autonomia e autostima; il bimbo è poco condizionabile fino ai 2 anni, poi la sua plasmabilità aumenta fino ai 7-8 anni per rimanere stazionaria fino ai 15.
Tra gli aspetti più importanti che caratterizzano la sindrome ricordiamo:
1. Campagna denigratoria -che inizia spesso con l’impedimento delle visite e la colpevolizzazione del genitore
2. Sostegno al genitore alienante da parte del bimbo nelle situazioni di conflitto
3. Allargamento della denigrazione e della ostilità verso la famiglia del genitore bersaglio (nonni, zii ecc.)
4. Assenza di senso di colpa anche in riferimento alla strumentalizzazione in campo legale

Gardner ha evidenziato che tale situazione sfocia spesso nella psicopatologia: i bimbi alienati, che si trovano a vivere in situazioni di forte tensione intergenitoriale, soffrono più spesso dei coetanei, in tenera età, di regressione, ansia, paura immotivata del genitore bersaglio e, se più grandi, scarso rendimento scolastico fino all’abbandono degli studi, di sindromi ansioso-depressive, di anoressiabulimia, bullismo, insonnia, enuresi, disturbi psicosomatici. Talora manifestazioni di tipo psichiatrico: schizofrenia, psicosi paranoide, suicidio, tossicodipendenza, alcolismo. La prevenzione consiste soprattutto nello sviluppare relazioni forti e sane con la prole ma per questo è richiesto anche un adeguato tempo di coabitazione.
Ancora oggi, nonostante evidenze scientifiche inoppugnabili circa i vantaggi di una concreta bigenitorialità (4), in Italia il tempo teorico che il genitore non collocatario prevalente trascorre con la prole per decisione del magistrato non supera la media del 17% (con valori medi decisamente inferiori per i bambini sotto i 12 anni, fino a casi limite sotto l’1%.

La scelta del genitore collocatario prevalente, che tra l’altro spesso non avviene in altri Paesi più progrediti, pare ancora risentire di stereotipi culturali che, se da un lato paiono sancire impari opportunità in ambito affidativo per gli uomini, dall’altro consolidano più insidiose e speculari impari opportunità nei settori della vita sociale per il genere femminile: la donna separata fatica a progredire nella vita sociale, lavorativa e culturale anche perchè la magistratura non interviene quasi mai nei confronti dei padri assenti e conforta quindi la figura di mera fattrice e angelo del focolare dell’immaginario popolare.
Ritornando dalla pratica alla teoria: ovviamente non tutti i casi di PAS sono eguali; infatti Gardner distingueva, grazie a una griglia da lui ideata, 3 livelli: lieve, medio, grave.
Tabella 1 - Diagnosi differenziale dei tre tipi di Sindrome di Alienazione Genitoriale



Ma, una volta diagnosticata la PAS, qual è l’approccio terapeutico? Cosa si può fare?
Sanzioni severe ed immediate erano la risposta di Gardner: multe, notti in guardina per il genitore non ottemperante agli obblighi di visita dell’altro genitore e quindi, non ottenendo risultati, inversione rapida della domiciliazione del bimbo. Un celebre studio di follow up di Gardner, che solo lui poteva effettuare grazie al prestigio che si era conquistato presso i tribunali americani, su 99 bambini alienati dimostrò che nel gruppo di 22 bambini in cui vennero presi drastici provvedimenti (inversione dell’affido o limitazione della frequentazione del genitore alienante) vi fu la attenuazione-fin quasi alla scomparsa- dei disturbi psicologici nel 100% dei casi. Invece peggioramenti si registrarono nel 90% dei casi nel gruppo di 77 bambini in cui non si attuò nessuna misura.
A tal fine Gardner teorizzò e attuò uno schema in 6 tappe -detto transitional site program- per il rapido trasferimento della custodia dei bambini gravemente alienati: questo dimostra che l’immobilismo delle aule giudiziarie molto spesso non coincide col supremo interesse della prole (cambiar la domiciliazione del minore si può e si deve: sistemi bloccati su pregiudizi ideologici non fanno sempre l’interesse dei bambini).
Già, ma chi, fra gli addetti ai lavori, ha letto questi studi e ne ha tratte le debite conclusioni?
Apparentemente non molti se è vero che l’impostazione terapeutica prevalente in Italia è ancor oggi un improbabile percorso di ricostruzione della genitorialità consistente –in assoluto contrasto con l’esperienza di Gardner– in colloqui in ambiente neutro di frequenza mensile, quindicinale o settimanale.
L’auspicio è dunque che, così come per la conoscenza di altre condizioni pregiudizievoli, anche per la sindrome di alienazione genitoriale si verifichi una diffusione analitica dapprima nel mondo scientifico e, subito dopo, anche in quello forense (di PAS parlano 3 progetti di legge depositati alla Camera dei deputati, tra cui il pdl 2209 cui ho personalmente collaborato). Solo così, infatti, si potrà arrivare alla corretta gestione di situazioni di delicatezza estrema, lasciate attualmente troppo spesso alla improvvisazione e alla ipotetica buona volontà degli operatori.

Tabella 2 - Trattamento differenziale dei tre tipi di Sindrome di Alienazione Genitoriale




I danni da deprivazione genitoriale
Abbiamo visto precedentemente come uno dei fattori determinanti per la prevenzione della pericolosa sindrome di alienazione genitoriale, descritta da Richard Gardner, sia rappresentato dal tempo di coabitazione del genitore bersaglio con la prole.
Sembrerebbe dunque che questo aspetto, oggetto di trattative spesso convulse in fase di separazione coniugale di coppie con figli, rivesta un ruolo importante per la salute mentale dei nostri figli. Ma esiste realmente una prova scientifica del benessere apportato ai figli dal fatto di poter avere rapporti continuativi con ambedue i genitori? Al di là di frasi fatte e scontate “è bello avere due genitori”, esiste una sicura evidenza scientifica dei benefici che ciò apporta ai figli? È dimostrato il danno della monogenitorialità, la nocività della prassi del 17% del tempo di coabitazione? Una mano a dirimere la vexata quaestio ce la dà un articolo fondamentale (4) pubblicato su una delle più importanti riviste pediatriche mondiali - Acta pediatrica - svolto da pediatri ed epidemiologi svedesi e australiani e finalizzato a verificare se il coinvolgimento paterno - concettualizzato come tempo di coabitazione, impegno e responsabilità - abbia influenze positive sullo sviluppo della prole.
Gli studiosi hanno analizzato retrospettivamente 24 studi svolti in 4 continenti diversi e con durate dai 10 ai 15 anni. La conclusione è che, dopo aver depurato i dati da variabili socioeconomiche, in 22 studi su 24 si è avuta l’evidenza, con p<0.005, degli effetti benefici derivanti dal coinvolgimento di ambedue le figure genitoriali. In particolare si è visto che il coinvolgimento del padre migliora lo sviluppo cognitivo, riduce i problemi psicologici nelle giovani donne, diminuisce lo svantaggio economico e la delinquenza giovanile, riduce lo svantaggio economico nei ragazzi.
La conclusione degli studiosi, provenienti da Paesi dove, dopo la separazione coniugale, al genitore non collocatario viene riconosciuto un diritto di visita pari al 25-30% del totale - e non il 17% -, è un appello alle autorità competenti affinchè ampliino i diritti di visita del non collocatario. Pur con la grossa difficoltà derivante dal fatto di riuscire a reperire campioni statisticamente significativi di figli coabitanti solo col padre, caso raro per via delle prassi dei tribunali, -pare che il danno della monogenitorialità colpisca in modo analogo i figli privati della madre (a sottolineare una sostanziale intercambiabilità dei ruoli).
Negli Usa molti studi hanno evidenziato i danni provenienti dall’assenza del padre -o per scelta del genitore o per volontà ostativa della genitrice- e tra questi sottolineerei American Journal of Public Health “I ragazzi con padre assente sono a più alto rischio per comportamenti violenti” e Survey on child health, 1993 U.S. Department of health and human services “Bambini che vivono senza un contatto con il loro padre biologico hanno il doppio delle probabilità di lasciare la scuola”: da questo deriva la necessità scientifica di sanzionare efficacemente sia il genitore che rinuncia al diritto-dovere di visita dei figli (anche se esistono evidenze che la assenza sia meno nociva della alienazione, della sottrazione o del conflitto), sia il genitore che ostacola i contatti della prole con l’altro genitore (5, 6).

Ma questo è un po’ difficile da pensare in Italia dove, in fondo, la deprivazione genitoriale è quasi istituzionalizzata: solo nel 1996, per esempio, al tribunale di Varese era comune che il padre uscisse dalla prima udienza di separazione con un tempo globale di visita della prole pari allo 0.16% del totale: tre ore al sabato pomeriggio! Ancora un mese prima dell’entrata in vigore della legge sull’affido condiviso, sempre al tribunale di Varese, a due bambini di 3 e 5 anni era stato riconosciuto il diritto di vedere il loro papà, che viveva coi nonni paterni al piano di sopra della villetta bifamiliare, ben... 7 ore al sabato: dalle 14 alle 21; nessuna limitazione era stata posta al diritto di poter sentire i passi del papà sul soffitto durante la settimana! Quando, dopo 2 anni di su e giù per le scale, il padre si riconciliò con la madre e tornò a vivere al piano di sotto, il giudice non fece nessuna obiezione al ripristino dei tempi di coabitazione con la prole, a dimostrazione della grande confusione che ancor oggi si fa tra genitorialità e coniugalità: solo il coniuge può essere un buon genitore! Ovviamente nessuna sanzione viene abitualmente comminata al genitore assente: oggi è molto più facile in Italia voler essere genitore assenteista piuttosto che richiedere un maggior coinvolgimento col rischio di esser definiti “conflittuali”. Secondo l’osservatorio nazionale Adiantum (www.adiantum.it) il diritto- dovere di visita si colloca attualmente tra il 15 e il 17% del totale del tempo, molto meno per bambini sotto i 6 anni (posso citare casi sotto l’1% del tempo totale). E se un genitore non collocatario, in causa giudiziale di separazione, vuole essere più presente, ottiene migliori risultati comprando direttamente le ore dall’altro genitore che intentando una causa legale (il cosiddetto fenomeno della mercificazione dei bambini).
Come in tutte le cose anche nei danni da separazione conta il profilo genetico: Battaglia et al., dimostrano con uno studio su 700 gemelli identici norvegesi che i bambini geneticamente predisposti sottoposti a traumi da divisione dai genitori -lutti o separazioni coniugali “difficili”- in tenera età hanno elevate probabilità di soffrire da adulti di crisi di panico per una azione modificatrice sui centri bulbari della respirazione (7). La vulcanica e scientificamente prolifica prof.ssa Spence della Brisbane University ha dimostrato che i danni da deprivazione genitoriale sono quantitativamente equivalenti sia che a latitare sia il padre sia che sia la madre e che, comunque, sono mediamente meno gravi dei danni da conflitto e da alienazione e che i tassi di dissocialità minorile sono maggiori nei figli di coppie formalmente unite ma conflittuali che in quelli di coppie separate (a dimostrazione che ciò che conta non è il divorzio legale ma quello emotivo) (8-10).
I danni, poi, a parità di altre condizioni, prevalgono tra i 3 e i 6 (fobia del genitore, regressione, ansia) e i 10 e i 15 anni (ribellione, bullismo, dipendenze, problemi di rendimento scolastico per un periodo di 2-3 anni, anche se il 10% dei ragazzi sublima la crisi, si iperresponsabilizza e diventa il primo della classe). Sulla base di molte considerazioni prima elaborate, diversi studiosi francesi hanno posto l’accento sul maggiore utilizzo che si dovrebbe fare del cosiddetto affido alternato: al di là di anacronistiche considerazioni stereotipate, tipo quella de “i piccoli nomadi”, l’esperienza della Francia -paese ove il divorzio, come detto, esiste ininterrottamente dal 1792- è assolutamente positiva e fa ritenere che l’affido alternato consenta di eliminare i contenziosi su assegni di mantenimento, diritti di visita, alienazione genitoriale e coinvolgimento di ambedue i genitori.
Secondo Solint (11) questa modalità d’affido consente di incrementare la fiducia nei genitori, mentre per Jacuin e Fabre (12) i risultati globali sono ottimi per prole e genitori, e questi dati sono stati confermati da importanti studi svolti successivamente nei paesi anglosassoni (13): la stabilità degli affetti e dei sentimenti è più importante della stabilità del domicilio, specie in situazioni a rischio. Su oltre 800 studenti, figli di separati, del primo anno della facoltà di psicologia della Ulniversità dell’Arizona il prof. Fabricius alla domanda “A posteriori, quali ritieni dovessero essere i tempi di coabitazione presso i tuoi genitori? ottenne come risposta di gran lunga prevalente “Tempi paritetici”(14).

Bibliografia essenziale

1. Gardner RA. Recent trends in divorce and custody litigation. The Academy Forum, 29/2 pp. 3-7. New York: The American Academy of Psychoanalysis.
2. Buzzi I. La sindrome di alienazione genitoriale. In Separazione, divorzio e affidamento dei figli, a cura Cigoli V,Gulotta G, Santi G, Milano, Giuffré, 1997 3. Turkat I. The personality disorders: a psychological approach to clinical management. P, New York 1990.
4. Sarkadi A, Kristiansson R, Oberklaid F, Bremberg S. Fathers’ involvement and children’s developmental outcomes: a systematic review of longitudinal studies. Acta Pædiatrica 2008; 97 (2): 153-8.
5. Rutter M. Parental Psychiatric disorders. Effects on children. Psych Med 1984; 835: 14
6. Rembard J. Attrition among families of divorce: patterns in an outpatient. J American Acc Child Psychiatric 1982; 409: 21.
7. Battaglia M, Pesenti Gritti P, Medland S, et al. A genetically informed study on the association between childhood separation anxiety, sensitivity to CO2, panic disorder and the effect of childhood parental loss. Archives of general psychiatry, 06-01-2009.
8. Spence S, Najman JM, Bor W, et al. Maternal anxiety and depression, poverty and marital relationship factors during early childhood as predictors of anxiety and depressive symptoms in adolescence’, Journal of Child Psychology and Psychiatry and allied disciplines 2002; 43 (4): 457-70.
9. Spence S, Sheffield J, Donovan CL. Preventing adolescent depression: an evaluation of the problem solving for life program. Journal of consulting anc clinical psychology 2003; 71 (1): 3-13.
10. Ingles CJ, Mendez FX, Hidalgo MD, Spence S. The list of social situation problems: reliability and validity in an adolescent spanish-speaking sample. Journal of Psychopatology and behavioral asssessment 2003; 25 (1): 65-74.
11. Solint. L’enfant vulnérable, rètrospective. PUF-Paris, 1980.
12. Jacquin-Fabre. Les parents, le divorce et l’enfant. EST Paris di Guillaurme e Fugue, 1993.
13. M. K. Pruett MK, Ebling R, Insabella GM. Critical aspects of parenting plans for young children: Interjecting data into the debate about overnights. Family Court Review 2004; 42/1: 39-59.
14. Fabricius W, Hall J. Le percezioni dei giovani adulti sulle separazioni. Family And Conciliation Courts Review 2000; 38 (4): 446-61.

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