8 agosto 2007

Lettera a Mastella (scritta da CC ad agosto 2007)



Roma, 8 Agosto 2007


Al MINISTRO DELLA GIUSTIZIA

On. Clemente Mastella


OGGETTO : APPLICAZIONE DELLA LEGGE 54/2006 (Affido Condiviso), mancata risposta da parte dell’Ufficio Legislativo


Le associazioni di genitori a sostegno della legge 54/06, confluite nel Comitato Comunicazione Condiviso, rilevano il singolare tenore del documento (protocollo 4/1-22 del 7/7 u.s.) redatto a cura dell’Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia e fatto pervenire al Capo Ufficio di Gabinetto.

Le obiezioni sollevate dal Comitato hanno ricevuto risposte evasive e fuorvianti in perfetto stile politichese, strumento con il quale si risponde cercando di non rispondere affatto.

L’Ufficio Legislativo ha confuso una “applicazione omogenea della legge secondo criteri uniformi su tutto il territorio nazionale” (come richiesto dallo scrivente Comitato) con una assurda “applicazione dell'affido condiviso sempre e comunque, senza eccezioni”, che nessuno ha mai supposto. L’Ufficio Legislativo ha travisato l’inequivocabile denuncia del Comitato: è inammissibile che la medesima legge venga applicata in maniera difforme dai vari tribunali della Repubblica.

D’altronde, l’Ufficio Legislativo ha ignorato anche l’altra denuncia fondamentale contenuta nel documento: l’applicazione meramente formale e non sostanziale della l. 54/06. Molte sentenze, pur formalmente ispirate al principio della “condivisione”, nella sostanza collocano il minore presso uno dei genitori (la madre), riproponendo l’obsoleto concetto che il genitore non coabitante (il padre) debba limitarsi a “visitare” il figlio in ore e giorni prefissati e limitati. Queste sentenze vanificano il fine principale della legge, che è la tutela del “diritto [del figlio minore] di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi [genitori], di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.

Nessuno ha chiesto un’applicazione oltranzista della nuova norma, è fin troppo ovvio che potranno e dovranno esserci delle oscillazioni percentuali in attesa di una stabilizzazione definitiva. Ma il fatto che la forbice tra valori minimi e massimi si spinga fino ad oltre 60 punti percentuali, non dovrebbe far riflettere qualunque osservatore super partes? E mai possibile che i genitori inadeguati risiedano tutti a Roma e Napoli, mentre quelli idonei siano solo a Catania e Torino?

Perfino nel contesto di un processo innovativo, queste differenze abissali possono essere imputate alle parti, o forse è il caso di riconoscere una precisa volontà degli operatori?

Domande non degne di una risposta esauriente.

In qualità di rappresentanti delle associazioni di categoria come anche in qualità di genitori, di cittadini, di elettori, prendiamo atto.

Il palese svilimento dello spirito collaborativo con il quale lo scrivente Comitato si era rivolto al Ministero non impedisce tuttavia un’analisi critica del documento da parte del Comitato stesso.

Come primo punto, dobbiamo rilevare come le perplessità sulle disfunzioni giudiziarie conseguenti alla mancata applicazione della legge 54/06 siano state manifestate ad un organo politico quale il Ministero della Giustizia (Potere Esecutivo), mentre lo stesso Ministero ha preferito delegare la risposta ad esponenti del medesimo organo del quale si rende necessario analizzare l’operato (Potere Giudiziario). La scelta di un interlocutore istituzionale non è stata casuale, bensì dettata dalla necessità garantita dalla Costituzione di un reciproco controllo fra diversi poteri dello Stato; è lapalissiano che, in tale modo orientata, la risposta non avrebbe potuto essere diversa.

Entrando nel merito, preme sottolineare che:

  • non corrisponde al vero l’affermazione secondo la quale l’affidamento condiviso sarebbe uno strumento di garanzia dei diritti dell’infanzia, ma non necessariamente l’unico né tanto meno il migliore;

  • la volontà espressa dal legislatore va in direzione diametralmente opposta, prevedendo il favor per l’affidamento condiviso che costituisce indubbiamente la migliore garanzia di continuità per i rapporti tra figli minori e genitori separati. Tre diverse Commissioni Giustizia, in diverse Legislature, hanno dato vita a ripetuti cicli di audizioni, coinvolgendo diverse discipline del mondo accademico, il privato sociale, operatori sociosanitari e giusperiti;

  • gli elementi emersi dalle audizioni, unitamente alle più recenti frontiere della neuropsichiatria infantile, ai monitoraggi sulle disfunzioni ed il disagio sociale generato dal precedente ordinamento, hanno reso evidente la necessità di rivedere l’impianto normativo prevedendo maggiori garanzie di tutela della prole e di equità per tutti i soggetti coinvolti;

  • sebbene l'interesse del minore debba essere prevalente, non deve esserci alcuna preferenza su base pregiudiziale fra i due genitori e comunque i giudici dovrebbero sempre e comunque tutelare i diritti di tutte le parti, laddove i loro interessi sono invece tutelati dagli avvocati di parte; la giurisprudenza attuale rappresenta invece un facilitatore se non addirittura un incentivo al mobbing familiare a danno di colui il quale, dal punto di vista affettivo, è oggi il genitore più debole, ovvero il padre.

A tale scopo l’istituto dell’affidamento condiviso è stato individuato quale misura ottimale; eventuali casi di deroga, infatti, sono legati al pregiudizio creato da un genitore — quello eventualmente da escludere — nei confronti dei propri figli.

A fronte di questa rivoluzione del concetto di affidamento (col precedente ordinamento deformato in una sorta di “possesso esclusivo” della prole, proprio la stortura che il Legislatore ha inteso correggere), le obiezioni sollevate dal Comitato ruotavano attorno al punto-cardine dei casi di deroga.

L’orientamento prevalente presso i tribunali che si dimostrano restii a recepire la ratio della norma novellata è quello di trasportare la vecchia giurisprudenza anche nel nuovo ordinamento, negando l’affido condiviso con le identiche motivazioni che escludevano l’affido congiunto previsto ante 54/06: elevata conflittualità fra le parti, distanza fra le abitazioni, tenera età del minore.

Non una di queste motivazioni è prevista nella nuova norma come motivo di rigetto dell’affidamento condiviso, eppure l’arroganza di alcuni operatori si spinge fino ad affermare che «con la nuova legge non cambia nulla».

Le istanze presentate dal Comitato erano inoltre supportate da ampie citazioni di fonti istituzionali, secondo le quali la necessità di presentazione di ulteriori pdl è dettata non tanto dalle lacune della legge stessa, quanto dalle resistenze a recepirla ed applicarla da parte di alcuni settori della magistratura.

Si parla testualmente di:

«diffuse disfunzioni applicative» (On Mura),

oppure

«la concreta applicazione della legge incontra sensibili ostacoli a causa delle resistenze culturali degli operatori» (On. Costantini),

«in troppi casi i Tribunali hanno continuato a ragionare come se “l’affido condiviso” fosse un semplice nuovo nome con cui chiamare “l’affido congiunto” già esistente nel nostro ordinamento, mancando di riconoscere che la modifica non era solo letterale, ma concettuale» (On. Bellillo),

«La certezza del Diritto, garanzia costituzionale di ogni cittadino italiano, non può essere subordinata alla variegata osservanza dei singoli magistrati. Non è sostenibile che da casi analoghi scaturiscano sentenze diametralmente opposte, a seconda del Tribunale competente» (On. Fabris),

«…trasportare la giurisprudenza per l’affidamento congiunto al condiviso significa ignorare che con la legge 54 si può escludere un genitore dall’affidamento solo per sue gravi e dimostrate carenze…» (On Costantini).

Non una sola parola è stata spesa dall’Ufficio Legislativo in merito a queste affermazioni.

Più fonti, istituzionali e non (le associazioni promotrici della riforma, i parlamentari che ne chiedono l’applicazione ed anche i parlamentari che intendono novellarla), convergono nel constatare l’esistenza di alcune sacche della magistratura tetragone a qualsiasi cambiamento nonostante la legge dello Stato lo richieda.

Ma l’Ufficio Legislativo, nelle sue note, tenta di legittimare ogni resistenza.

E’ una posizione che, con la massima onestà intellettuale,

il Comitato non può condividere


L’applicazione disomogenea della legge, in base a retaggi culturali personali ed avulsi dal dettato della 54/06, viene avallata quale facoltà prevista dalla discrezionalità del magistrato.

  • Peccato che i più che legittimi confini della discrezionalità siano ampiamente varcati dalle resistenze figlie di opinioni preconcette.

  • Peccato che la novella dell’affidamento condiviso sia recepita in un tribunale e ferocemente ostacolata in un altro, nonostante la discrezionalità della magistratura sia garantita in entrambi.

  • Peccato che i dati sulla precedente giurisprudenza parlino chiaro: nel caso di favor per l’affido esclusivo questi ha trovato applicazione in percentuali attorno al 90% dei casi, in modo omogeneo, per 35 anni, in tutti i tribunali della Repubblica;

  • Peccato che nel caso, invece, di favor per l’affido condiviso, assistiamo a curiose disomogeneità che oscillano da un minimo del 20% ad un massimo dell’85% di applicazione, senza alcun criterio se non le resistenze degli operatori nei confronti del dettato legislativo.

  • Appare inoltre ultronea l’affermazione secondo la quale «la legge prevede espressamente che il giudice decida avendo esclusivo riferimento all'interesse materiale e morale della prole (articolo 155 comma 1) e che l'affidamento ad uno solo dei genitori sia disposto quando il giudice ritenga che l'affidamento all'altro genitore sia contrario all'interesse del minore».

Principi rivelatisi insufficienti ed inefficaci, già contenuti nella precedente normativa, proprio quella che ha dimostrato di produrre effetti tanto devastanti da renderne indispensabile la riforma. Basti pensare alla sindrome di alienazione genitoriale, o PAS, solo per ricordare uno dei tanti effetti deleteri dell’affido esclusivo.

Il legislatore ha percepito la necessità inderogabile di stabilire parametri nuovi per l’esclusione di un genitore dall’affido della prole, senza immaginare che alcun operatori avrebbero potuto farsene beffe e tornare impunemente alle consuetudini preferite, che pure tanti danni hanno prodotto.

La domanda che permeava ogni istanza del Comitato, quindi, è rimasta senza risposta: la discrezionalità della magistratura può spingersi fino a cancellare il lavoro del Potere Legislativo? Può essere considerato lecito, tanto sotto il profilo costituzionale quanto secondo le più elementari regole della democrazia? Domandare è lecito, rispondere è cortesia, tentare di irridere l’interlocutore è indice di arroganza. Eppure è esattamente ciò che è accaduto.

Secondo il parere espresso dall’Ufficio Legislativo sarebbe improprio chiedere l’applicazione omogenea di una Legge dello Stato (sic)! Si tratta di un’affermazione grave; ricordiamo, al contrario, come la certezza del Diritto sia una garanzia costituzionale (art. 3) e non possa essere subordinata ad opinioni preconcette.

Ripetiamo ancora una volta: prendiamo atto.

In qualità di rappresentanti delle associazioni di categoria, di genitori, di cittadini, di elettori, prendiamo atto e ci riserviamo di agire con gli strumenti in nostro possesso.

Coordinamento Comunicazione Condiviso

Allegati

  1. elenco indirizzi

  2. elenco delle associazioni firmatarie

  3. copia del documento dell’Ufficio Legislativo, Ministero della Giustizia

  4. relazione “Crescere senza padre oggi in Italia” – G.Giordano, G.D’Angelo

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