16 novembre 2009

Psicosi pedofilia e separazioni: tra false accuse, mostri presunti, business e danni sui bambini



Che quello separazioni sia un mondo fatto di ripicche e vendette tra adulti sulla pelle dei bambini è un fatto noto, come altrettanto noto è che diventa un luogo di anarchia giuridica e morale, tra leggi inapplicate, buchi legislativi, palestra di conflitti e di accuse inventate. Proprio sulla deriva di questo ultimo aspetto è di recente uscito un libro ad opera del criminologo Luca Steffenoni, del quale riportiamo alcuni stralci di recensioni e un video.
(sul fenomeno delle false accuse strumentali di violenza nelle separazioni abbiamo anche parlato in altro articolo)


L'autore: Luca Steffenoni, criminologo e scrittore, svolge la sua attività di studioso e consulente in collaborazione con enti ed istituzioni nazionali e comunitarie. Libero professionista, partecipa a ricerche della Comunità Europea nel campo della prevenzione, della vittimologia, dei flussi migratori e della recidiva dei padri incestuosi. Si è occupato tra l’altro di linguaggio e di comunicazione del messaggio preventivo per campagne di sensibilizzazione sociale nei paesi europei ed è consulente per autori che si cimentano nell’ambito letterario a sfondo criminologico.
E’ stato direttore del Centro di ricerca e counseling Psicologia e Benessere. E’ stato redattore della rivista Delitti & Misteri, insieme a molti dei più interessanti tra gli scrittori noir e giallisti italiani (tra gli altri Andrea G.Pinketts, Carlo Lucarelli e Massimo Carlotto) dove ha scritto di delitti classici e di numerosi temi di attualità criminale.
Il sito dell'autore: www.lucasteffenoni.com
Il libro: Presunto colpevole. La fobia del sesso e i troppi casi di malagiustizia (ed. Chiarelettere)

Recensioni:

da Libero - Lucia Esposito
Può capitare a chiunque di svegliarsi e scoprire di essere diventato un mostro. Succede che un giorno, all’improvviso, tutto quello che avevi fino alla sera prima –la famiglia, gli amici, il lavoro– si trasforma in un grande buco nero che ti ingoia e ti cancella. Non esisti più. L’accusa di aver molestato un minore è più di una condanna penale. E una sentenza di morte. Il criminologo Luca Steffenoni ha scritto un libro (“Presunto colpevole”, edito da Chiarelettere) che tutti – insegnanti, giudici, psicologi e genitori – dovrebbero leggere per cambiare prospettiva e vedere cosa c’ è dietro l’allarme pedofilia.

Un libro che squarcia il silenzio e parla dell’interesse economico mascherato dall’ amore per i più piccoli di molte associazioni. Enti. Istituti ed esperti. Ci sono bambini strappati alle famiglie che diventano adulti negli orfanotrofi, un sistema giudiziario che non funziona, insegnanti che finiscono in carcere vittime di psicosi collettive, uomini sbattuti in cella solo sulla base di perizie psicologiche.

E perfino di sogni. Com’è successo a don Giorgio Carli, condannato a sette anni e sette mesi dalla Corte d’appello di Bolzano dopo un processo basato sull’ attività onirica della donna che lo aveva denunciato. Incriminato perché uno psicoterapeuta aveva interpretato i sogni della vittima. Ci sono tante storie cominciate con un’accusa di molestie sessuale, continuate con una condanna e terminate con un’assoluzione troppo spesso tardiva. Vite annientate.

Basta poco per far scattare una denuncia. Salvatore Lucanto ha passato due anni e mezzo in carcere per aver violentato la figlia e la cugina. Poi è stato assolto. L’accusa, che si basava sui disegni fatti dalla figlia davanti alla psicologa, cadde quando divennero chiari i metodi utilizzati per ottenere le prove: «La signora mi ha detto che devo disegnare un fantasma e chiamarlo pisello», aveva dichiarato la bambina all’uscita dell’audizione protetta. Un altro imputato è riuscito a salvarsi da un’accusa rivelatasi falsa solo perché aveva avuto l’idea originale di farsi tatuare il pene con un’immagine che la presunta abusata non ha saputo descrivere.

La situazione peggiora quando, nel ’96, cambia la legge sulla violenza sessuale e viene introdotta una norma che disciplina gli atti (come le molestie e tutte quelle azioni in cui non c’è contatto genitale) che rischiavano di restare esclusi dal reato di violenza. ‘Ma è atto sessuale lasciare in mutande i bimbi che si sono bagnati durante una festa? Fare il bidet ai figli? Osservare le parti intime se necessitano di cure? Fare la doccia con il proprio bimbo? «Eppure», scrive Steffenoni, «tutti questi fatti sono entrati nei processi come sintomo di abuso e ritenuti spesso sufficienti a giustificare condanne o l’allontanamento dei piccoli dai propri genitori». Nei processi si parte dal presupposto che i bambini raccontano sempre la verità, ma spesso le loro testimonianze sono confuse e condizionate dalle domande degli psicologi che stanno sempre più assumendo il ruolo di poliziotti. Il criminologo parte da un dato: ogni anno arrivano 5 mila denunce da parte di scuole, centri d’ascolto, servizi sociali e Asl. I casi concreti sono 845. Significa che una buona fetta delle segnalazioni si rivelano se non false, almeno fantasiose. Sovente frutto di psicosi o di vendette contro l’ex coniuge. Chi viene accusato ha poche possibilità di difesa e il processo ha quasi sempre un esito scontato. È l’accusato che deve dimostrare la propria innocenza, non l’accusa che deve portare elementi certi. Meglio essere arrestati per omicidio: l’indulto si applica a chi uccide un bimbo ma non a chi è accusato di averlo palpeggiato.

Sullo sfondo di “Presunto colpevole”, tutte le storie di bimbi sottratti, di papà ingiustamente condannati, c’è l’inquietante cornice entro cui si muovono i procedimenti giudiziari per abusi sessuali: il cosiddetto “sistema antiabusi”, un mondo autoreferenziale, fatto di consulenti, psicologi, esperti. Spesso improvvisati, centri di assistenza ai quali compete la prima e anche l’ultima parola nei procedimenti giudiziari. Ci sono tra i 26mila e i 28mila bambini che vivono negli istituti fino alla maggiore età. Strappati alle famiglie per mille cause: perfino l’indigenza di genitori affettuosi e premurosi diventa un buon motivo per portare via i piccoli. Stato, Regioni, Province e Comuni danno finanziamenti per circa 200 euro al giorno per ogni bimbo. Per un totale di 1898 milioni di euro all’anno. Ogni bimbo in istituto costa 75mila euro all’anno. Siamo sicuri che questi istituti facciano solo sempre l’interesse dei piccolini?

Da Il secolo d'Italia - di Massimiliano Griner
Fino agli anni novanta, racconta Steffenoni, la pedofilia veniva combattuta con i vecchi, cari metodi tradizionali: intercettazioni telefoniche e ambientali, sequestro di pubblicazioni oscene, pedinamenti di sospetti. Metodi lenti, costosi, ma molto efficaci. Inchiodati da prove irrefutabili – come l’imprenditore triestino Moncini, beccato dal FBI all’aeroporto di Manhattan dopo un intenso scambio di telefonate con un agente infiltrato – i pedofili finivano dritti in galera dopo un semplice, regolare processo. Erano soggetti pericolosi, ma nessuno li considerava come accade oggi diabolicamente astuti, imprendibili e dotati di coperture che li ponevano al di là della legge e di ogni prevenzione.
Poi, la svolta. Aiutata anche da un crollo della natalità, che rende i bambini rari, e quindi talmente preziosi da essere soffocati di attenzioni dai genitori. Nel 1996 il codice penale vede giustamente aumentare i suoi articoli, perché dopo decenni, si riesce a far passare il concetto che la violenza carnale non è un banale delitto contro la morale, ma un reato contro la persona, e che compiere atti sessuali con minori di quattordici anni è sempre un reato. Peccato che poi la legge, nella sua stringata ambiguità, non precisi cosa si intenda con “atti sessuali”. L’ambiguità ha lasciato che nella prassi giuridica entrasse in gioco il concetto di “abuso”, semanticamente ancora più vasto e di definizione ancora più equivoca e incerta. Quando poi dagli abusi l’attenzione si è spostata ai loro sintomi, ancora più fumosi, la frittata era fatta. La lotta alla pedofilia era diventata campo d’azione degli psicologi, i soli abilitati nel delicato compito di scrutare nella psiche delle piccole vittime, alla ricerca del “rimosso”. Neanche a farlo apposta, quello scorcio di anni ’90 è anche il periodo in cui la corporazione degli psicologi riesce ad allargare legalmente le proprie fila, riconoscendo come professionisti della psiche anche individui privi di requisiti professionali adeguati. E questo trascurando che la psicologia non è una scienza esatta, né vuole esserlo.
È comunque in questa classe di candidati alla disoccupazione intellettuale che si andrà ad attingere per formare esperti nell’arte di decifrare le labili tracce lasciate dagli abusi. Compito delicato, tale da richiedere un esperto competente, in modo che il minore non patisca ulteriori sofferenze. Peccato che spesso si traduca nel forzare i bambini a dichiarare ciò che ci si aspetta da loro, spesso in cambio della promessa di rivedere il genitore da cui sono stati divisi.
Intanto in campo appariva una nuova figura di pedofilo: scaltro, diabolico, sinuoso, capace di nascondersi nella società senza lasciare tracce delle sue losche azioni, neanche fosse Fantomas. Così, mentre l’isteria cresceva, la sommatoria di ambiguità e sciatteria generava procedure che avrebbero impressionato Kafka. «Tanto la fase inquirente quanto quella del giudizio – scrive Steffanoni – si sono trasformate nel regno dell’aleatorio se non del surreale, dove tutto e il suo contrario può essere affermato.» Caduto il discrimine secondo cui solo ciò che è falsificabile ha valore scientifico, ogni cosa e il suo contrario può costituire un capo d’accusa. «Il bambino accusa l’adulto? Dunque è stato abusato. Non lo accusa? Ha paura, vuole difenderlo, vuole rimuovere l’abuso. Non ricorda gli eventi e si contraddice? Normale, dimenticanze da shock per il trauma subito. Ricorda meticolosamente ogni particolare, tanto da sospettare che sia stato “preparato” un po’ troppo? I fatti d’abuso si fissano nel profondo della psiche e riemergono con precisione se sollecitati.» Se il caso più recente è quello dell’asilo di Rignano Flaminio, quello più eclatante ha avuto inizio qualche anno fa a Bolzano. Protagonista, il sacerdote quarantenne don Giorgio Carli, amatissimo dalla sua comunità, portato in tribunale da una ex parrocchiana ventottenne. L’accusa fa riferimento ad episodi che avrebbero avuto inizio quando la ragazza aveva nove anni, e si sarebbero protratti fino ai quindici. Tra altre pratiche innominabili, il sacerdote avrebbe costretto un altro ragazzino ad avere rapporti con lei, mentre filmava le scene indossando un paio di guanti neri. Il ragazzino, ormai diventato adulto, ha negato, ma inutilmente. In appello il sacerdote è stato condannato a oltre sette anni di carcere.
Questa volta l’ipnosi – o più precisamente, la “distensione immaginativa”, come la chiamano i cosiddetti esperti –, non ha riportato alla luce episodi rimossi. Ad essere resuscitato dagli abissi della coscienza è stato un suo sogno. Nel sogno la ragazza si vedeva violentata da marocchini in un bar sulla cui insegna c’era scritto “San Giorgio”. Lo stesso nome del parroco che ha deciso di denunciare. «Quel sogno – ha scritto Ferdinando Camon, che si è interessato al caso con la sua consueta attenzione – è sembrato determinante. Ma se fosse determinante, sarebbe il primo caso in cui un colpevole risulterebbe incastrato da un sogno, o peggio, da una fantasia. È qui la rivoluzione: nell’attribuire al mondo dei sogni la funzione di garanzia sul mondo reale, tanto forte da reggere una condanna pesante.»
Intanto le vittime di procedimenti imbastiti sul niente si moltiplicano, e quel che è peggio, sempre più famiglie vengono spezzate. Non di rado si arriva all’assurdo giuridico che il padre prosciolto da ogni accusa si veda negata la restituzione dei figli. Che di queste tragedie inutili sono quelli che pagano, con laceranti separazioni, il prezzo più alto.

da La Stampa - di Raggaella Silipo
«Questo libro nasce da un’esigenza morale» dice il criminologo Luca Steffenoni, autore di Presunto Colpevole. La fobia del sesso e i troppi casi di malagiustizia (appena uscito per Chiarelettere, pp.272, euro14). «In tanti anni di lavoro per i tribunali ho visto troppe accuse ingiuste di pedofilia, con soluzioni tardive e danni psicologici ed economici enormi: un abisso di errori e orrori giudiziari che mi hanno obbligato a far sentire la mia voce».
Il libro prova a raccontare quello che non vediamo. Una macchina burocratica che vale milioni di euro («ogni bambino sottratto alla famiglia paga lo stipendio a dieci tra psicologi e tecnici» dice Steffenoni). Un affare per associazioni, centri d’assistenza, consulenti, psicologi. E tante storie di affetti distrutti, di violenza psicologica (genitori divisi, bambini affidati, interrogatori infiniti).
«La macchina della giustizia è sfuggita di mano a tutti-dice Steffenoni- I magistrati che si occupano di minori sono pochi, un mondo chiuso sorretto da un associazionismo a cui deve riscontro. Dall’altra parte c’è un clima emotivo e fanatico contro i pedofili. Ma il paradosso è che il vero pedofilo spesso sfugge alla giustizia o patteggia pene irrisorie». Se davvero l’interesse ultimo di tutti gli attori in causa è difendere i bambini, i fatti raccontati da Steffenoni documentano il contrario. «Bisogna bloccare la macchina. Basta errori, questo problema ci riguarda tutti».

Da ANSA
L'ultimo caso clamoroso è stato quello dell'imprenditore di Guidonia arrestato in Brasile con l'accusa di essere un pedofilo per aver baciato sulla bocca la figlioletta. Dopo giorni di carcere, con il rischio di essere condannato fino a 15 anni, è fortunatamente ritornato in libertà. Luca Steffenoni, criminologo, ha indagato il fenomeno della pedofilia e ha scoperto che anche in Italia sono moltissimi i casi di malagiustizia.
Un tema talmente delicato quello affrontato che l'editore ha ritenuto opportuno inserire una nota editoriale per spiegare che non si tratta di un libro sulla pedofilia ma sulla violenza sui bambini, anche su quella che spesso ruota attorno al cosidetto sistema antiabusi, per capire cosa c'è dentro e dietro l'allarme pedofilia e le vicende processuali.
L'autore ha preso in esame molti casi giudiziari e ha riscontrato che molto spesso i pubblici ministeri adottano una sorta di teorema: il bambino non mente mai. A questo proposito ha esaminato alcune inchieste del pm milanese Pietro Forno che ha sostenuto l'esistenza di due tipi di rivelazione: quella diretta e quella mascherata. La prima è quella del bambino ormai adolescente che racconta i fatti, la seconda è quella che si manifesta con un disagio psicologico. Secondo Steffenoni per un genitore accusato sarebbe meglio avere a che fare con la prima tipologia perché si tratterebbe di verificare l'attendibilità dell'accusa. In realtà, però, analizzando molti casi anche questa tipologia è rischiosa perché spesso il minore prima accusa, poi ritratta, quindi racconta a metà e infine conferma la prima versione. Per molti pm, però, il minore racconta sempre la verità, anche davanti ad evidenti contraddizioni.
Il libro prova a raccontare una macchina burocratica che vale milioni di euro. Un affare per molti: associazioni, centri di assistenza, consulenti, psicologi. Già all'atto della denuncia i bambini vengono portati via alla famiglia e in moltissime occasioni, come ha testimoniato Steffenoni, anche dopo l'assoluzione dei genitori rimangono nei centri protetti per anni. Le ragioni del libro - ha scritto in premessa l'autore - sono quelle di dare voce a chi non ne ha e non ne ha avuta ''stretto tra un'informazione che privilegia l'arresto e dimentica l'assoluzione e un'opinione pubblica che baratta le storture del sistema con l'illusoria convinzione che si tratti pur sempre di eccezioni''.

Aggiornamento:
Interessante recensione su: www.legnostorto.com
Ecco alcuni passaggi:
Il criminologo parte da un dato statistico inoppugnabile: ogni anno arrivano 5 mila denunce di pedofilia da parte di scuole, centri d’ascolto, servizi sociali e Asl. Tuttavia, i casi in cui si giunge ad una condanna sono in media annuale, dal 1996 (anno della nuova legge contro la violenza sessuale) circa 850: soltanto il 17% dei casi denunciati si risolve in una sentenza di colpevolezza. Esiste quindi una netta discrepanza fra il numero di denunce e quello di condanne, che induce a ritenere come la stragrande maggioranza dei casi presunti di pedofilia siano del tutto immaginari, frutto di psicosi o vendette private.

Le cause delle false accuse di pedofilia sono essenzialmente due: psicosi ed interessi personali. Anzitutto, lo Steffenoni documenta una mentalità diffusa che tende a vedere una forma di abuso sessuale anche in gesti del tutto naturali e corretti (come lavare proprio figlio o baciarlo), e che conduce con sé determinate ossessioni basate su stereotipi, quali la nozione del “sacerdote pedofilo”. Statistiche erronee se non falsificate diffuse dai media ed un’attenzione morbosa riguardo a fatti di cronaca concernenti la pedofilia conducono ad un clima isterico, in cui è sufficiente un semplice sospetto od una voce per condurre ad una denuncia.

Inoltre, la grande maggioranza delle false accuse di pedofilia provengono da ex mogli e sono dovute a precisi interessi economici e familiari. Infatti, l’80% di tutte le denunce di pedofilia provengono dall’ex coniuge, quasi sempre la donna, e per di più, ad ulteriore testimonianza della loro inconsistenza, diventano operative soltanto dopo che un tribunale civile ha deciso provvedimenti giudicati dall’ex moglie quali insoddisfacenti. È quello che può accadere con l’affido condiviso o la somma fissata per l’assegno di mantenimento: per vendetta, o per meglio ottenere ciò che desidera, l’ex moglie, o talvolta sua madre, accusa l’ex marito di violenza sul figlio.

Le due cause scatenanti le false accuse di pedofilia, la psicosi e l’interesse personale, debbono la loro esistenza per la massima parte alle attività di associazioni ed autentiche alle lobbies “anti-abuso” ed “anti-violenza”. Esse contribuiscono a diffondere un timore irrazionale riguardante presunte violenze domestiche, ed assieme a promuovere una severità eccessiva e squilibrata nelle leggi e nei processi concernenti casi di violenza sessuale.

La conseguenza di ciò è l’accettazione acritica da parte di larga parte della popolazione d’affermazioni infondate sulla diffusione massiccia della pedofilia, in realtà secondo Steffanoni molto più rara di quanto non sostengano allarmistiche ed interessate “statistiche” fornite da associazioni sedicenti “anti-violenza”, di scarso o nullo contenuto scientifico. Inoltre, a causa del clima formatosi e delle leggi vigenti, la facilità con cui le imputazioni sono credute, e la durezza con cui i presunti colpevoli sono perseguiti, rende agevole e proficuo rivolgere false accuse.

Le due cause scatenanti le false accuse di pedofilia, la psicosi e l’interesse personale, debbono la loro esistenza per la massima parte alle attività di associazioni ed autentiche alle lobbies “anti-abuso” ed “anti-violenza”. Esse contribuiscono a diffondere un timore irrazionale riguardante presunte violenze domestiche, ed assieme a promuovere una severità eccessiva e squilibrata nelle leggi e nei processi concernenti casi di violenza sessuale.

Queste lobbies “anti-violenza” hanno una motivazione assieme ideologica ed economica nella promozione delle proprie attività. Da una parte, esse sono spesso fortemente condizionate dall’ideologia femminista e quindi dai suoi stereotipi sulla presunta brutalità maschile e dall’ossessione per i fenomeni di violenza domestica, che viene enfatizzata ben oltre la sua effettiva dimensione. Dall’altra, questa rete di centri di assistenza, società “no profit”, onlus, case di accoglienza ecc. traggono i loro finanziamenti, per intero od in misura essenziale, da enti pubblici. Tali associazioni ed istituti e le persone che vi lavorano hanno quindi interesse diretto a far sì che l’allarme sociale e l’attenzione giudiziaria verso la pedofilia permangano elevati, affinché l’afflusso di fondi prosegua.

Quando la denuncia per pedofilia perviene alla magistratura, una serie di fattori intervengono a distorcere il procedimento processuale ed a fare dell’imputato un “presunto colpevole”. In primo luogo, la legislazione nazionale in materia di violenza sessuale è formulata in maniera ambigua, cosicché l’abuso viene ad essere definito non oggettivamente (in relazione ad un fatto obiettivo) ma soggettivamente (in rapporto alla “sensazione” provata dalla presunta “vittima”). In altri termini, la legge italiana sullo stupro può essere interpretata ed applicata condannando per violenza carnale unicamente sulla base delle dichiarazioni della “vittima”, ed anche per gesti e comportamenti non attinenti direttamente alla sfera sessuale. La situazione è infatti peggiorata quando, nel 1996 è entrata in vigore la nuova legge sulla violenza sessuale, mediante l’introduzione di una norma che persegue atti in cui non esiste contatto genitale, espressa in termini vaghi e generici, tale da rendere qualificabile quale una “violenza” anche atti del tutto innocenti.

In secondo luogo, il sistema giudiziario è malamente organizzato nell’affrontare i casi di pedofilia. Si ha una sovrapposizione di competenze fra il tribunale dei minori ed il tribunale ordinario, con il prevalere del primo, l’accusa è molto avvantaggiata rispetto alla difesa (il pm appartiene egli stesso alla magistratura, il difensore invece è un avvocato), ed i consulenti ed i periti a cui si ricorre provengono dalle lobbies “anti-violenza” di cui si è detto.

L’esito di tutto ciò è che chi viene accusato ha scarse possibilità di difesa, cosicché il processo ha quasi sempre un esito scontato con la condanna dell’imputato. È infatti l’accusato che deve dimostrare la propria innocenza, non l’accusa che deve portare prove della sua colpevolezza, con il rovesciamento del classico e razionale principio giuridico della presunzione d’innocenza: senza prove contrarie, si è innocenti.

I processi spesso sono decisi unicamente sulla base di quanto sostengono i bambini, i quali sono oltretutto molto più vulnerabili degli adulti a svariate forme di pressione, compiute dalle varie parti coinvolte nel sostenere l’accusa. Il bimbo nel processo di pedofilia è sovente subornato da un parente, specialmente la madre, che vuole far condannare l’imputato e si serve della fiducia del figlio e dello strettissimo rapporto d’affetto per convincerlo a produrre affermazioni del cui significato effettivo può persino non essere consapevole. Tale plagio del minore può anche avvenire ad opera dello psicologo o dal “consulente” nominato dal tribunale, membro di una qualche associazione od onlus “anti-violenza”.

Le soluzioni proposte da Steffanoni sono articolate, e giustamente rivolte a ciascuno dei vari attori del processo sopra delineato. In primo luogo, egli suggerisce d’evitare la propagazione di un allarme sociale esagerato nei confronti della pedofilia, chiarendo come si tratti di un fenomeno molto meno diffuso di quanto comunemente non si creda. In secondo luogo, il criminologo propone un rapporto dei tribunali e delle autorità pubbliche ben diverso da quello attuale nei confronti delle varie associazioni, onlus, centri sedicenti “anti- violenza”, che risultano essere sovente ideologizzati ed economicamente interessati alla diffusione di un clima da “caccia alle streghe” riguardo alla pedofilia. In terzo luogo, risulta indispensabile ritornare al procedimento processuale classico, che si basa sulla coincidenza delle prove, abbandonando totalmente un’impostazione giuridica e magistratuale nella quale l’imputato è “presunto colpevole”, e che per di più si fonda su soggettivi e discutibili indizi di natura psicologica anziché su riscontri obiettivamente determinati.

L’insegnamento del libro di Steffenoni è persino paradossale. La pedofilia appare essere relativamente rara, mentre invece è molto più diffusa la violenza sui minori, e sugli adulti, provocata dalla lotta alla pedofilia stessa. L’idea di combattere la “violenza sessuale” finisce con il provocare un numero di vittime di violenza, giudiziaria in questo caso, molto superiore a quello degli stupri di bambini.


Steffenoni su Antenna 3 Nord Est – Sapori Quotidiani


Intervista di Ghigliottina.it

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